"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Offesi?

Innsbruck, la corona di spine
di Vincenzo Calì 

(12 febbraio 2011) I titoli (Bolzano è Italia - Offende tutti noi italiani) dati dal giornale ai due interventi di Giorgio Leonardi e Marco Boato a commento delle esternazioni di Durnwalder sul 150° non mi convincono. Io, che italiano sono sicuramente (nato e cresciuto a Milano, figlio di un siciliano e di una emiliana) non mi sento affatto offeso dalle parole del leader tirolese. E dico tirolese a ragion veduta, perché come sudtirolesi ai tempi dell'unità d'Italia e della duplice monarchia venivano etichettati i trentini e non certo i bauern alla Durni, gli abitanti delle alte valli alpine affacciate a meridione. Tirolesi tutti d'un pezzo dunque, la maggioranza degli abitanti della attuale Alto Adige (da non confondere con il dipartimento napoleonico con lo stesso nome, che fu una pura espressione geografica, per dirla alla Metternich. (...)

Se infelice dunque è la battuta di Durni (mi sento austriaco, non ho nulla da festeggiare per il 150°) lo è per il fatto di aver giudicato l'evento dal punto di vista della piccola patria tirolese, senza cercare di porsi dal punto di vista delle forze nuove che con le rivoluzioni del 1848, sia in Italia che in Germania,  si schierarono a  favore delle unificazioni tedesca, polacca, italiana. Precondizione necessaria alla nascita dell'unione europea fu allora, e lo è ancor oggi, il passaggio alla compiuta creazione degli Stati nazionali, con l'abbandono dei residui degli antichi regimi in cui non vi erano cittadini ma sudditi.

La storia non si salta: nessun progetto federalista europeo avrebbe mai potuto vedere la luce senza il travagliato e doloroso passaggio della costruzione delle identità nazionali, passaggio tradotto in versi (circola o fiamma del sacrificio) dal poeta rivoluzionario tedesco Georg Herweg. Versi ottocenteschi oggi più che attuali, dopo la notte balcanica in cui si sono dissolti i sogni internazionalistici che prescindevano dalle identità delle genti. Il Tirolo, rimasto ai margini di questo processo per tutto l'ottocento, costretto nel novecento entro una cornice statuale che non è la propria, può sentirsi parte del progetto identitario che coinvolse le grandi nazioni? La risposta è nelle parole del Presidente bolzanino, che deve tenere conto in primo luogo dei sentimenti della maggioranza del suo popolo.

Se il "sacro egoismo" tirolese ha prevalso sul generoso omaggio all'Italia repubblicana, erede delle migliori tradizioni risorgimentali, ciò non deve portarci, come italiani, ad allentare l'impegno ad onorare il dettato costituzionale riguardo la tutela delle minoranze linguistiche. Il domani di un Europa civile ci potrà riservare, si spera, uno scenario in cui il pensiero di "pontieri" come Alex Langer avrà finalmente il giusto posto nella memoria collettiva e le questioni confinarie avranno trovato la loro soluzione senza isterismi e grossolane semplificazioni.

 

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