"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
(20 marzo 2011) Quello che accade in Libia in queste ore ha ben poco a che fare con la rivoluzione dei gelsomini. In Tunisia, in Egitto e in tanta parte del mondo arabo milioni di giovani donne e uomini hanno scelto di riprendere nelle loro mani il proprio destino. Mani nude, con gli strumenti della comunicazione elettronica e del passa parola, con la forza del sorriso e l'orgoglio della dignità, senza simboli religiosi né bandiere del Novecento. La forza di questa primavera era ed è nella nonviolenza.
La Libia è un'altra storia, che abbiamo già visto mille volte. Ed anche l'epilogo di queste ore è nella scia di quella storia. La piega degli avvenimenti ha assunto sin dai primi giorni i caratteri della rivolta e della repressione, dello scontro di potere fra clan e interessi forti, difficile distinguere gli insorti dalle milizie di Gheddafi. E dopo aver esitato per settimane su cosa sarebbe stato più conveniente - non dovremmo dimenticare le prime reazioni dei nostri governanti - la scelta da parte dei potenti della terra è stata quella dei bombardamenti.
Tutto sbagliato, si potrebbe dire. Prima gli affari, la realpolitik del gas e del petrolio, l'idea della Libia come paese offshore nel Mediterraneo e, già che ci siamo, anche le amazzoni del dittatore non guastano. Poi, quando le truppe di Gheddafi erano già nel centro di Bengasi, il tardivo via libera delle Nazioni Unite alla No-fly zone, la coalizione dei volenterosi, i bombardamenti. E così, fra le proteste dell'Unione Africana, della Russia, della Germania, il divieto di volo dei caccia libici (a questo punto sostanzialmente inefficace) diventa guerra, punto e basta. E allora ritornano i rituali. Sarà lampo, chirurgica, per la difesa dei civili e naturalmente per la libertà. Vedremo come andrà a finire. Ma ieri come oggi, la guerra è sempre una sconfitta.
Intanto, gli avvenimenti di Libia gettano un cono d'ombra sulla primavera araba. Dove parlano le armi, vincono i fondamentalismi.
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