"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Vedo quel mare, comprendo quello stato d'animo...

Ventotene

Questo pezzo è stato scritto per "La Patria riTrovata" che lunedì ha preso il via grazie al "Gioco degli Specchi".

di Michele Nardelli

(7 novembre 2011) "Guardavo sparire l'isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita, avevo fatto la fame, avevo contemplato - come da un lontano loggione - la tragedia della seconda guerra mondiale, avevo tirato le somme finali di quel che andavo meditando durante sedici anni, avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili ... nessuna formazione politica esistente mi attendeva, né si prestava a farmi festa, ad accogliermi nelle sue file ... con me non avevo per ora, oltre che me stesso, che un Manifesto, alcune tesi e tre o quattro amici ...".

In queste parole, scritte da Altiero Spinelli mentre lasciava la sua terra d'esilio, l'isola di Ventotene, c'è l'orgoglio di un grande disegno ed insieme il senso profondo della solitudine.

E' lo strano destino che spetterà al vecchio alfiere del federalismo europeo, quello di essere riconosciuto come il padre dell'Europa tanto che alla sua figura è dedicato uno degli edifici che in Rue Weirtz 60 ospita a Bruxelles il Parlamento Europeo e al tempo stesso di non trovare per tutto il suo lungo cammino una piena cittadinanza politica. Ricordato sì nelle cerimonie e persino sui francobolli, ma senza che il federalismo europeo diventasse cultura politica diffusa.

Vedo quel mare, comprendo quello stato d'animo. In quello sguardo "europeo ed italiano" si poteva rintracciare l'orgoglio del riscatto del sud e di un meridionalismo che si era nutrito di oriente (Gaetano Salvemini), c'era il messaggio culturale della coscienza di classe e nazionale (Antonio Gramsci), c'era l'idea federalista del potere diffuso (Silvio Trentin), si scorgeva la coerenza fra i mezzi e i fini che più tardi fu alla base del pensiero nonviolento (Aldo Capitini).  

Quello stesso mare che accompagnò l'esilio di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e di Eugenio Colorni non ha mai smesso in realtà di inviarci messaggi che però non abbiamo saputo raccogliere. Nel secondo dopoguerra, quando i paesi europei hanno pensato bene di riversare altrove la falsa coscienza dell'olocausto. Negli anni '90, quando la tragedia di Sarajevo ha chiuso il secolo che proprio lì era iniziato con l'assassinio del 28 giugno 1914 e che diede il via alla prima guerra mondiale. In questi anni, nel suo diventare l'abisso dei disperati delle carrette del mare, alla ricerca di un sogno di benessere in un mondo sempre più diviso fra inclusione ed esclusione. E che fatichiamo a raccogliere ora, di fronte ad una primavera nonviolenta che in pochi mesi ha cambiato il volto del Mediterraneo.

In ognuna di queste circostanze, l'Europa non c'era, era distratta o guardava altrove. Fra ipocrisia e piccoli calcoli, ci sono stati invece i paesi europei, nell'intento di andare a vedere cosa poteva venirne in termini di influenza politica e di vantaggi economici. Senza nemmeno esitare a muovere i cacciabombardieri contro l'amico di ieri pur di accaparrarsi qualche diritto sulle materie prime. Che pure non riescono a nascondere il vuoto che oggi regna sovrano, tanto sul piano delle scelte comunitarie quanto attorno al fallimento delle politiche di prossimità.

Malgrado ciò i paesi europei non sono in grado di far fronte ai fattori di crisi e cresce la percezione che senza un disegno europeo e mediterraneo da soli non ce la possano fare. Ad affrontare una crisi finanziaria che richiede profili sovranazionali ed ancoraggi territoriali. A dare risposte oltre l'emergenza verso flussi migratori che hanno ragioni strutturali. A proporre soluzioni di pace laddove i conflitti diventano sempre più laceranti ed hanno da tempo superato i confini nazionali.

Il Manifesto di Ventotene "Per un'Europa libera e unita" guardava lontano. Era in primo luogo una proposta di pace. In quell'agosto del 1941, nel pieno della seconda guerra mondiale scoppiata ancora una volta nel cuore dell'Europa, Spinelli e compagni pensavano all'Europa politica come soluzione che potesse dare una prospettiva di prosperità e di cooperazione, andando oltre i nazionalismi che la generarono. Un appello a superare l'idea dello "spazio vitale" delle singole nazioni, l'egemonia economica e finanziaria degli Stati. Infine uno spazio culturale aperto al proprio mare, oltre quella dimensione coloniale che aveva portato al nefasto disegno imperiale dell'Italia e delle altre potenze coloniali.

Quel disegno non è diventato realtà. Dobbiamo riconoscere che ci sono stati momenti nei quali il progetto europeo è sembrato a portata di mano. Oggi lo avvertiamo più lontano. Lo è soprattutto nella coscienza dei cittadini europei, perché non sono affatto cresciuti uno spazio comune, un senso di cittadinanza, un pensiero europeo. Così come lontana appare quella sintesi fra storie e culture europee e mediterranee che dell'Europa costituiscono la grande ricchezza. O almeno di quell'Europa che nel messaggio mitologico si proponeva di far incontrare oriente e occidente.

Con l'itinerario "Cittadinanza Euromediterranea" il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani ha cercato in forma inusuale di dare vita ad uno spazio di cultura in questo straordinario spazio geografico. Quel "manifesto" ormai settantenne ci ha accompagnati, come un faro in mezzo alla nebbia di questo tempo incerto, incontrando la primavera.

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*