"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
(14 gennaio 2012) La primavera araba ha avuto l'effetto straordinario di aprire una stagione nuova per l'insieme dei paesi che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo. L'esito - che peraltro mantiene aspetti di incertezza - non è stato solo la caduta dei regimi illiberali ma anche l'aprirsi di una dialettica politica che ha riconosciuto piena legittimità e valore alla nonviolenza, alla partecipazione democratica, all'autogoverno dei territori, ad una nuova cooperazione euromediterranea. Non a caso molti osservatori hanno paragonato la rivoluzione dei gelsomini ad una sorta di nuovo risorgimento, laddove la nascita degli stati moderni nella fase post coloniale era stata segnata dall'insorgere di nazionalismi che erano in realtà emanazione di quegli stessi colonialismi e che ben poco avevano a che fare con le culture del mondo arabo.
Con la fine dei vecchi regimi, si apre dunque una stagione complessa che non deve rispondere solo alle istanze di dignità che milioni di giovani hanno richiesto con forza, ma che investe gli assetti partecipativi, i meccanismi con i quali si formano le decisioni, la partecipazione delle donne alla vita democratica, le modalità di comunicazione, gli strumenti di autogoverno, la stessa legittimità di confini tracciati su carte militari senza alcuna conoscenza storica, culturale e talvolta nemmeno geografica. O scaricando sull'altra sponda del Mediterraneo la falsa coscienza (ed il timore del ripetersi) di tragedie come l'olocausto.
Tutto questo ha lasciato dietro di sé conflitti profondi e irrisolti, che il ricorso alla guerra o alla pulizia etnica hanno reso ancora più drammatici, paradossalmente anacronistici e praticamente irrisolvibili in assenza di uno scarto di pensiero.
Fra questi, quello forse più simbolico e nei cuori del mondo arabo è sicuramente quello della "nakba" palestinese, ma certamente rilevante è anche quello del Sahara Occidentale, o Sahara marocchino a seconda della narrazione prevalente.
Il Sahara Occidentale è infatti l'area geografica più significativa della lista dei "territori non autonomi" delle Nazioni Unite. Lo si potrebbe definire uno dei principali contenziosi territoriali aperti nel mondo, anche se con i nuovi assetti geopolitici seguiti alla caduta del muro di Berlino, molte altre sono le aree regionali che potrebbero aggiungersi pur essendo ufficialmente parte di sovranità statuali che però non riconoscono.
Pensiamo al caso del Kosovo, dell'Ossezia del Sud, dell'Abkhazia, della Transnistria, di Cipro Nord, del Nagorno Karabah... paesi che si sono dichiarati indipendenti ma mai riconosciuti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. Pensiamo ai Paesi che da anni rivendicano la sovranità del loro tradizionale territorio come la Palestina, o che rivendicano il diritto all'autogoverno, come il Kurdistan, il Tibet, lo Xinjiang, i Paesi Baschi... a fronte di sovranità nazionali che appaiono intoccabili.
E' dal 1976, anno in cui finisce la dominazione coloniale spagnola sul Sahara Occidentale, che questo territorio si è proclamato Repubblica Democratica Araba Sahrawi, aprendo così un contenzioso con il Marocco che a sua volta rivendica la propria sovranità territoriale sulla regione. Un conflitto congelato dal cessate il fuoco del 1991, che ha motivato una delle missioni internazionali delle Nazioni Unite più "antiche", in attesa di un referendum sullo status della regione di cui si parla dal 1992 e mai realizzato.
Va ricordato come, attorno alla questione del Sahara Occidentale, nel corso degli anni, si siano giocate strategie e alleanze internazionali, schieramenti e solidarietà di natura politica ed ideologica. Nel frattempo decine di migliaia di persone hanno conosciuto la condizione di profughi, ammassati in campi di raccolta in condizioni spesso disumane.
Una condizione che dura da quarant'anni e che impone una riflessione che investe sia il diritto internazionale, quando il principio di autodeterminazione entra in conflitto con quello di sovranità, quanto lo stesso paradigma di "stato - nazione", in un tempo che appare invece sempre più sovranazionale e al tempo stesso territoriale. Nella consapevolezza che se dovessimo far corrispondere sul nostro pianeta ad ogni nazionalità uno "stato-nazione", avremmo a che fare con una proliferazione interminabile di conflitti.
Una riflessione che dovrebbe portarci a dire "non più nuovi stati e frontiere", in una diversa prospettiva di forti autonomie locali e regionali e di aree sovranazionali, che potrebbero anche configurarsi a geometrie variabili rispetto agli stessi confini nazionali sul modello delle "euro regioni".
Un tema, quello delle autonomie, che non a caso si è imposto e s'impone all'ordine del giorno del dibattito nei paesi dove finalmente, al confronto ideologico, datato e spesso armato, si sostituisce un confronto sui temi dell'autogoverno, della valorizzazione delle culture e dei saperi dei territori come condizione per abitare i processi globali.
L'autonomia così intesa è qualcosa di più e di diverso del semplice decentramento amministrativo degli Stati, è cultura di governo del territorio che si coniuga con le tradizioni di autogoverno locali basate su forme consolidate di gestione dei beni comuni come l'acqua e la terra, la legna e il pascolo, antecedenti alle forme statuali, e insieme consapevolezza delle interdipendenze di un mondo globale dove l'economia, la ricerca, la cultura, l'informazione, la comunicazione, le relazioni sono ormai senza confini.
Descriviamo così un contesto nel quale le realtà consolidate nelle quali l'autonomia è diventata cultura di governo del territorio (come nel caso della Regione Trentino Alto Adige/Süd Tirol) possono giocare un ruolo importante sul piano dello studio, del confronto, delle relazioni e dello scambio di esperienze, competenze, soluzioni istituzionali. Nasce così una proposta di relazione di grande valore con una delle Regioni europee dove un'autonomia avanzata e dinamica ha saputo rappresentare uno scenario in grado di offrire una soluzione efficace e conveniente, che potrebbe configurarsi come alternativa a quella otto-novecentesca che porta alla rivendicazione di nuovi confini (e alle immancabili nuove diaspore che i confini portano con sé).
* Presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani
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