"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L'Europa siamo noi, è il momento di ricostruirla

Giovane europeo
Manifesto per la ricostruzione dell'Europa dal basso

di Ulrich Beck e Daniel Cohn Bendit 

(3 maggio 2012) Un Anno europeo di volontariato per tutti - per tassisti e teologi, per lavoratori e disoccupati, per manager e musicisti, per insegnanti e allievi, per scultori e sottocuochi, per giudici della corte suprema e cittadini anziani, per uomini e donne - come risposta alla crisi dell'euro!

I giovani d'Europa non sono mai stati così istruiti, eppure si sentono impotenti di fronte all'incombente bancarotta degli Stati-nazione e al declino terminale del mercato del lavoro. Tra gli europei con meno di venticinque anni, uno su quattro è disoccupato. Nei tanti luoghi in cui hanno allestito campeggi e lanciato proteste pubbliche, i giovani defraudati dei loro diritti rivendicano giustizia sociale. Ovunque - la Spagna, il Portogallo, i paesi del Nordafrica, le città americane o Mosca - questa domanda sale con grande forza e grande fervore. Sta montando la rabbia per un sistema politico che salva banche mostruosamente indebitate, ma dilapida il futuro dei giovani. Ma quanta speranza può esserci per un'Europa che invecchia costantemente?

Il presidente americano John F. Kennedy sbalordì il mondo con la sua idea di fondare un Corpo della pace. «Non chiedetevi che cosa può fare per voi il vostro Paese, chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro Paese».

Noi che firmiamo questo manifesto vogliamo farci portavoce della società civile europea. Per questa ragione chiediamo alla Commissione europea e ai Governi nazionali, al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali, di creare un'Europa di cittadini con un impiego attivo e di fornire i requisiti finanziari e legali per l'Anno europeo di volontariato per tutti, come contro-modello all'Europa dall'alto, l'Europa delle élite e dei tecnocrati che ha prevalso finora e che si sente investita della responsabilità di forgiare il destino dei cittadini europei, contro la loro volontà se necessario. Perché è questa massima non dichiarata della politica comunitaria che sta minacciando di distruggere l'intero progetto europeo.

Lo scopo è quello di democratizzare le democrazie nazionali per ricostruire l'Europa nello spirito dello slogan kennediano: non chiedetevi che può fare per voi l'Europa, ma che cosa potete fare voi per l'Europa, facendo l'Europa!

Nessun pensatore progressista, da Jean-Jacques Rousseau a Jürgen Habermas, ha mai voluto una democrazia che consiste unicamente nel poter andare a votare a scadenze regolari. La crisi del debito che sta mandando in pezzi l'Europa non è semplicemente un problema economico, ma anche un problema politico. Abbiamo bisogno di una società civile europea e della visione delle giovani generazioni se vogliamo risolvere le scottanti questioni d'attualità. Non possiamo lasciare che l'Europa venga trasformata nel bersaglio di un «movimento arrabbiato» di cittadini che protestano contro un'Europa senza gli europei. L'Europa non può funzionare senza l'apporto di europei impegnati per la sua causa, e gli europei non possono fare l'Europa se non possono respirare l'aria della libertà.

L'azione pratica, che trascende i confini ristretti dello Stato-nazione, dell'etnia e della religione, che l'Anno europeo di volontariato per tutti vuole promuovere non dev'essere intesa come una foglia di fico istituzionalizzata per coprire i fallimenti europei. È una visione che vuole aprire spazio per la creatività. Non si tratta di un mezzo per distribuire elemosine ai giovani disoccupati, è un atto di auto-affermazione della società civile europea, un atto che può essere usato per costruire una nuova Costituzione propositiva, dal basso, per ripristinare la creatività politica e la legittimazione dell'Europa. La libertà politica non può sopravvivere in un'atmosfera di paura. Può prosperare e radicarsi solo se le persone hanno un tetto sulla testa e sanno come fare per vivere, domani e quando saranno vecchie. Ecco perché l'Anno europeo di volontariato per tutti ha bisogno di solide fondamenta finanziarie. Noi chiediamo alle imprese europee di dare il loro giusto contributo.

Se vuole costruire una cultura dal basso, l'Europa non può permettersi di ricadere in linee d'azione predefinite. I cittadini di questa Europa andranno in altri Paesi e si impegneranno su problemi transnazionali su cui gli Stati nazionali non sono più in grado di offrire soluzioni appropriate (il degrado ambientale, i cambiamenti climatici, i movimenti di massa di profughi e migranti e il radicalismo di destra). Sfrutteranno le reti europee di arte, letteratura e teatro come palcoscenici per promuovere la causa europea. Bisogna stipulare un nuovo contratto fra lo Stato, l'Unione Europea, le strutture politiche della società civile, il mercato, la previdenza sociale e la sostenibilità ambientale.

Che cosa c'è di buono nell'Europa? Qual è il valore dell'Europa per noi? Quale modello potrebbe e dovrebbe essere la base dell'Europa nel XXI secolo? Sono questioni aperte, che devono essere affrontate urgentemente. Per noi di We Are Europe la risposta è questa: l'Europa è un laboratorio di idee politiche e sociali senza equivalenti in nessun'altra parte del mondo. Ma che cos'è che costituisce l'identità europea? Potreste rispondere che l'europeità nasce dal dialogo e dal dissenso fra molte culture politiche diverse, quella del citoyen, quella del citizen, quella dello Staatsbürger, quella del burgermatschappij, quella del ciudadano, quella dell'obywatel, quella dello politês. Ma l'Europa è anche l'ironia, è la capacità di ridere di se stessi. E il modo migliore per riempire l'Europa di vita e di risate e che i cittadini comuni europei agiscano insieme, spontaneamente.

Per sostenere questa iniziativa, sottoscrivete su: http://manifest-europa.eu/

Al manifesto - pubblicato su numerose testate europee tra le quali Die Zeit, Le Monde, El Pais, The Guardian, La Repubblica - hanno aderito anche: Jurij Andruchovyc, autore; Jerzy Baczynski, giornalista; Zygmunt Bauman, filosofo; Senta Berger, attrice; Patrice Chéreau, regista teatrale e cinematografico; Rudolf Chmel, esperto di letteratura ed ex ministro della Cultura della Repubblica Slovacca; Jacques Delors, ex presidente della Commissione europea; Gábor Demszky, ex sindaco di Budapest; Chris Dercon, direttore della Tate Modern di Londra; Doris Dörrie, cineasta e scrittrice; Tanja Dückers, autrice; Peter Eigen, fondatore di Transparency International; Ólafur Elíasson, artista; Péter Esterházy, autore; Joschka Fischer, ex ministro degli Esteri della Repubblica federale tedesca; Jürgen Flimm, direttore della Deutsche Oper Berlin; Anthony Giddens, politologo e sociologo; Alfred Grosser, pubblicista e politologo; Ulla Gudmundson, ambasciatrice svedese; Jürgen Habermas, filosofo; Dunya Hayali, giornalista; Michal Hvorecký, scrittore; Eva Illouz, sociologa; Mary Kaldor, politologa; Navid Kermani, studioso dell'islam e scrittore; Imre Kertész, premio Nobel per la letteratura; Rem Koolhaas, architetto; Kasper König; curatore e direttore del Museo Ludwig di Colonia; György Konrád, scrittore ed ex direttore dell'Accademia delle Arti di Berlino; Michael Krüger, scrittore ed editore; Adam Krzeminski, scrittore e giornalista; Wolf Lepenies, ex direttore del Wissenschaftszentrum Berlin; Constanza Macras, coreografa; Claudio Magris, scrittore; Sarat Maharaj, storico dell'arte e curatore; Olga Mannheimer, autrice; Petros Markaris, scrittore; Robert Menasse, scrittore; Adam Michnik, giornalista e caporedattore della Gazeta Wyborcza; Herta Müller, premio Nobel per la letteratura; Hans Ulrich Obrist, curatore e direttore della Serpentine Gallery di Londra; Thomas Ostermeier, direttore del teatro Schaubühne di Berlino; Petr Pithart, giornalista ed ex primo ministro della Repubblica Ceca; Martin Pollack, pubblicista e autore; Alec Popov, scrittore; Ilma Rakusa, scrittrice e traduttrice; Peter Ruzicka, compositore e direttore di festival; Joachim Sartorius, autore ed ex direttore del Berliner Festspiele; Saskia Sassen, sociologa; Hans-Joachim Schellnhuber, direttore dell'Istituto Potsdam per la ricerca sull'impatto climatico; Helmut Schmidt, ex cancelliere della Repubblica federale tedesca; Henning Schulte-Noelle, presidente del comitato direttivo dell'Allianz SE; Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo; Gesine Schwan, politologa; Richard Sennett, sociologo e scrittore; Martin M. Šimecka, scrittore e giornalista; Johan Simons, registra teatrale del Münchner Kammerspiele; Javier Solana, ex segretario generale della Nato e alto rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera e di sicurezza comune; Michael Thoss, direttore dell'Allianz Kulturstiftung; Klaus Töpfer, membro fondatore dell'Iass (Istituto di studi avanzati sulla sostenibilità) ed ex direttore esecutivo dell'Unep (Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente); Klaus Wagenbach, editore; Richard von Weizsäcker, ex presidente della Repubblica federale tedesca; Christina Weiss, ex ministro della Cultura della Repubblica federale tedesca; Wim Wenders, cineasta e fotografo; Bob Wilson, artista e regista teatrale; Michel Wieviorka, sociologo...

 

3 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da stefano fait il 07 maggio 2012 09:11
    Mi permetto di riportare un mio commento pubblicato su FB e rielaborato qui, nella speranza che stimoli un necessario dibattito sul tuo blog e magari anche altrove (politica responsabile?).
    La via “europeista” non è la via della pace.
    Il paradigma dello stato-nazione non porta direttamente alla guerra e neppure indirettamente. Sono le identificazioni di qualunque genere, incluso l'europeismo, che producono inclinazioni violente. Anzi, maggiore è la potenza economica e bellica associata ad un’identificazione/appartenenza, più devastanti saranno i suoi effetti, all’interno come all’esterno.
    Lo stesso Habermas ha detto che non ha più senso chiamare in causa la pace per giustificare una maggiore integrazione europea e mi pare che gli stati dell'Unione Europea non si siano praticamente mai astenuti da una guerra "umanitaria", indipendentemente dal grado di integrazione; né peraltro la federazione americana (USA) si è limitata nelle sue pratiche guerresche.

    Arrivo a dire che i due progetti (il tuo e quello europeista com'è concepito odiernamente) NON siano compatibili.
    L'unico possibile pregio di questa crisi è che ci dà la possibilità di cambiare il nostro modo di ragionaree di stare al mondo. L'europeismo è uno schema vecchio, quello della progressiva espansione di un potere accentrato, che ha sempre dato pessimi frutti e che insegue il mito dell'illimitatezza ed onnipotenza, ossia sfocia nell'hybris. Non è il primo stadio della realizzazione del tuo sogno della cittadinanza euro-mediterranea, è una strada che porta nella direzione opposta o che comunque ostacola i tuoi sforzi. La primavera araba può avere un carattere realmente rivoluzionario (della mente, dello spirito) proprio se si aggancia alle "primavere" europee del voto alle amministrative inglesi, della sconfitta di Sarkozy – che ora Barbara Spinelli definisce nazionalista, anche se è sempre stato pro-Nato e pro-Stati Uniti d’Europa –, della vittoria in Grecia di chi vuole un’Europa più rispettosa della dignità dei suoi cittadini e meno sensibile alle sirene dell’alta finanza, della probabile vittoria del no irlandese al fiscal compact, della sconfitta della Merkel [la CDU ormai governa solo sette stati sui 16 che compongono la Germania].
    La meta dovrebbe essere la costituzione di confederazioni di comunità autonome pluraliste (porose) e trans-nazionali, treansculturali, trans-continentali, globali. Solo così si eviteranno campanilismi su scala gigantesca.
    La tua via, euromediterranea, è infinitamente superiore a quella europeista, non perché mi va di svilirmi in facili piaggerie e diventare più nardellista di Nardelli ma perché sono arrivato alle tue conclusioni partendo da premesse diverse e seguendo percorsi completamente diversi e penso di avere delle solide ragioni per mantenere la rotta.
    Il progetto della cittadinanza euro-mediterranea non va nella direzione di un nazionalismo continentale contrapposto al mondo arabo, o alla Russia, o alla Cina/India, o al Terzo Mondo, o agli USA, ma abbraccia direttamente il completamente altro, l'islamico/il "barbaro"/il non-Occidentale e contemporaneamente contesta il sistema esistente, pretendendo il massimo rispetto per le istanze locali e per la negoziabilità degli stili di vita come fulcro del rispetto della dignità umana ad ogni latitudine.
    Questa è l'unica via che possa portare a dei risultati, le altre sono baggianate di comodo – socio-economicamente insostenibili, giuridicamente problematiche e fomentatrici di sensi di appartenenza forti che, storicamente, legittimano crociate civilizzatrici, xenofobia e misure di sicurezza sempre più liberticide.
    Perciò mi auguro che non ti fuorviino dall'impegno meritevole che ti sei assunto.
  2. inviato da Michele il 06 maggio 2012 15:12
    Caro Stefano, ho postato questo appello perché condivido l'urgenza di affermare l'Europa in un momento in cui prevale invece il "si salvi chi può". Non tutto quel che riprendo sul mio blog lo devo necessariamente condividere al 100%, altrimenti non mi resterebbe che cercarmi una grotta in cima ad una montagna. In questo manifesto, ad esempio, manca ogni riferimento alla dimensione territoriale, per me decisiva (ne parlo sul diario di oggi), e questo lo rende effettivamente un po' astratto. Sono d'accordo con te che non è dall'Europa degli Stati che possiamo attenderci qualcosa di significativo... e nemmeno - se posso dire - da quella della cosiddetta società civile che non è poi tanto diversa. E' invece dell'Europa come cultura di tante minoranze e da un sentire identitario sempre in divenire che avverto il bisogno, che spero possa crescere una nuova progettualità politica. Un sentire che è anche individuale e credo a questo proposito che se ognuno vorrà dare anche una sola ora o atto di volontariato per l'Europa non potrà che far crescere questa speranza.
  3. inviato da stefano fait il 06 maggio 2012 10:23
    e chi li mantiene questi volontari in tempi in cui milioni di famiglie stentano ad arrivare a fine mese?
    Si devono auto-finanziare?
    I "requisiti finanziari e legali per l'Anno europeo di volontariato per tutti" non crescono sugli alberi.
    E' un ritorno alla mit'a incaica?
    Sull'Eurora continuo a sentire proclami roboanti e poche proposte concrete. Il che non mi stupisce. Praticamente tutti i sondaggi dell'eurobarometro segnalano che i cittadini europei si fidano sempre meno delle autorità europee.
    Questi progetti molto slegati dalla realtà quotidiana della gente comune non credo aiutino ad invertire la tendenza, anzi.
    E poi "portavoce della società civile europea"?????

    Mi fa specie che tu e Dello Sbarba citiate Cohn-Bendit, una figura che, al di là della sua ambiguità (eufemismo), avrebbe solo da imparare da entrambi (e non certo il contrario).
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