"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(4 giugno 2012) Nella rete in questi giorni girano centinaia di messaggi. In una quantità preoccupante di espressioni violente e volgari, ogni tanto si trova anche qualche pensiero. In questo caso una riflessione di Giorgio Rigotti sullo spirito del tempo che mi sembra utile riprendere.
Le sensazioni/sollecitazioni del Festival dell'economia si intrecciano con l'inquietudine del malsano attacco al Forum per la pace, e con la vita.
Lo spirito del tempo è confuso. Mille ipotesi di malattia e per ognuna mille ipotesi di cura risolutiva. Ma non come turbinio di intelligenze che si confrontano, come parzialità che non si interconnettono. Soggettività senza sintesi, ma neanche prospettiva e senso comune. Le opinioni volteggiano in cielo in cerca di sponsor appetibili. L'unica cosa certa: non disturbare i medici.
Lo spirito del tempo non è confuso. E' smembrato e tramortito. E anche su questo una gara a posizionarsi. Lodi al dubbio creativo; anatemi alle certezze residuali; peana alla fine del vecchio... l'originalità, lo scatto, il virtuosismo. Questo dalla parte che si ritiene garantita. E di quella alternativa, che vuole la decrescita per essere ricchi in modo diverso. Ma ricchi, sempre.
L'altra parte, quella che non osa neanche più sperare di diventare ricca (in modo tradizionale) è irritante, lamentosa, spaventata. Infurbita. Si interroga su come modellare la sua subalternità - per in qualche modo salvarsi - preservandola nelle pieghe della ricchezza residuale. Le bricciole del welfare, e del ricco epulone.
A Trento, per poter dire che hanno difeso la Fornero contro quelli che volevano dire di averla contestata, i poliziotti caricano... e feriscono un clochard! E' ridicolo e emblematico: non tra proposte diverse ci si confronta, ma su chi meglio si salverà nel naufragio.
Questo avvitamento nel gorgo bisogna interrompere. La politica deve riprendere la sua centralità. Certo, ma prima di tutto bisogna riuscire a eliminare un ventennio di incrostazioni. Non politica come servizio, perché può stancare i deboli e rendere presuntuosi i resistenti; non come luogo di emancipazione individuale, perché o è liberazione collettiva o non è. Non come professione intellettual-manageriale, perché se no la fanno diventare una facoltà universitaria; non come "una delle possibili professioni" perché se no vincono gli scalatori, i mediocri e i concorsisti. Non luogo della competenza, se no avremmo solo bocconiani e bacchettate sulle mani, o incompetenti e prepotenti.
Una politica dove la gente pensa, elabora, confronta e fa azione collettiva di giustizia. Servono partiti - non lasciamo al papa il diritto dovere di dire come devono essere - e la certezza ormai palese che la giustizia o è di tutti o non sarà per nessuno.
E un pò di fraternità, che non è un dovere, ma orgoglio della nostra intelligenza.
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