"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il valore del passato è davanti a noi

Pane e acqua
di Ugo Morelli

(18 dicembre 2012) Viviamo in un mondo globale, dove i mondi locali rifiutano tenacemente la sottomissione. Non possono però fare a meno di giocarsi le condizioni dell'appartenenza. I mondi locali come il nostro dispongono di un passato che si può usare. Quell'uso conosce almeno due possibilità.

Da una siamo diffusamente invasi. Si può comprenderlo. È quella che celebra il passato, lo tratta con rituali contemplativi e lo ingessa fino a farne un fossile da museo. Lo usa e ne abusa fino a consumarlo in litanie ripetute, in immagini consunte, buone per appagare le aspettative di piccoli brividi da parte di code di turisti malinconici. Dall'altra possibilità di uso del passato mostriamo di tenerci lontani. Essa richiede responsabilità e passione. La disposizione a rispondere e quella a desiderare e a impegarsi, allo stesso tempo.

In base a questa possibilità, per non essere sottomessi al principio guida del pensiero liberale, secondo cui il "mercato" costituisce quell'idea superiore di cui tutte le attività e le relazioni sociali dovrebbero essere espressione, si tratta di riconoscere che anche quando la dimensione economica sembra essere la più importante, è comunque soggetta a quella culturale.

La vitalità di una comunità è in ogni modo legata alle risorse culturali, alla sua capacità di pensare e di pensarsi, alla sua elaborazione di ipotesi e progetti di innovazione e di futuro. A meno di non illuderci, nel senso peggiore del termine, come a volte sembriamo fare. Agiremmo, e purtroppo spesso agiamo, come quel soldato di guardia che nell'agosto del 1821, in un teatro di Baltimora, durante la rappresentazione dell'Otello di Shakespeare, saprò all'attore che stava interpretando il moro di Venezia, volendo impedire che quell'uomo potesse uccidere una donna bianca. Nel nostro caso il soldato saremmo noi e il moro sarebbe il mondo globale. Noi saremmo quelli che non sanno distinguere l'illusione dalla realtà. Nel mondo globale viviamo già. Meticci siamo già. L'autonomia può derivare il proprio valore da una cultura responsabile e interiorizzata e non da un'esibizione di simboli e rituali stracchi, buoni per celebrazioni e inaugurazioni. Il mondo globale non si può uccidere e, comunque, non lo si può fare impunemente. Vorrebbe dire tagliarsi fuori dal tempo in cui viviamo. Lo si può abitare quel mondo, da protagonisti: l'unica possibilità per non essere sottomessi.

E allora esaminiamo il passato che si può usare. Ci permetterà di riconoscere cosa ci distingue e cosa dobbiamo valorizzare. Vedremo finalmente che bastano poche cose. Il paesaggio, l'ambiente, la natura e la qualità della vita, in primo luogo. Per essi siamo riconosciuti. Allora facciamo sul serio in proposito. Non usiamoli solo per propaganda ma attuiamo pratiche effettive di tutela e valorizzazione. La produzione agroalimentare: applichiamo coerenza e verità inscritte realmente nei prodotti. L'ospitalità: mettiamoci in condizioni di essere all'altezza dei tempi. L'aria, l'acqua, il suolo: tendiamo a diventare primi nel salvaguardarli e nel migliorare la vivibilità. Saremo un mondo locale che il mondo globale vivrà come un'aspirazione.

 

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