"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
Ho visto solo qualche frammento finale dell'evento televisivo di Michele Santoro con Silvio Berlusconi. Non amo né "Servizio pubblico", tanto meno il cavaliere. In compenso l'hanno guardato quasi 9 milioni di italiani, inchiodati davanti al televisore che mandava in onda il revival di un ventennio che cerchiamo faticosamente di metterci alle spalle e due dei suoi principali protagonisti, i quali per ritornare in auge hanno evidentemente bisogno l'uno dell'altro.
Da una parte l'immagine del vecchio capo che nonostante tutto tanto piace ancora agli italiani, simbolo di quello che vorrebbero essere e di un modello sociale fondato sul populismo e sul paternalismo autoritario, sul rancore e sull'invidia. Dall'altra un giornalismo progressista e salottiero, subalterno perché privo di autonomia progettuale, che si è nutrito di antiberlusconismo come si trattasse della propria ragion d'essere.
Niente da stupirsi, dunque, se alla fine dello spettacolo il cavaliere ne sia uscito come un gigante al cospetto di un giornalismo ignorante, approssimativo e che nei mesi di ibernazione di Silvio Berlusconi aveva raggiunto dati di ascolto da fallimento. Il risultato di questa messa in scena è sotto i vostri occhi.
Ci dovrebbe far comprendere che per voltare pagina occorre riflettere su quel che il berlusconismo ci ha lasciato in eredità, su come questo paese è cambiato (e non in meglio) nel suo profondo e infine che un'alternativa a quel modello sociale non possa essere ridotta al mettere i conti a posto ma fondarsi su un progetto capace di proporre un'altra idea di economia e di società.
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