"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Le Marlboro di Sarajevo

Miljenko Jergovic
 
Le Marlboro di Sarajevo 

Libri Scheiwiller, 2005
 
 
 
Ripubblicato in Italia da Libri Scheiwiller ‘Le Marlboro di Sarajevo" raccolta di racconti dello scrittore bosniaco Miljenko Jergovic. Riportiamo la prefazione scritta da Claudio Magris
Il nuovo Andric bosniaco: così Paolo Rumiz, perspicace scrittore e cronista della insensata e terribile guerra nei Balcani, ha definito Miljenko Jergovic, il sorprendente autore de Le Marlboro di Sarajevo. Entrambi, come molti altri scrittori, raccontano di quel variegato crogiolo balcanico di popoli, religioni e culture diverse, che dovrebbe e potrebbe essere un esempio di coesistenza, tolleranza ed arricchimento reciproco - e parzialmente lo è anche stato, dando così una lezione di coesistenza umana - il quale però è diventato luogo della vergogna e della distruzione.

Anche il mondo di Andric è venato di tragedia, il che rende tale mondo imperscrutabile ma non assurdo, e non lo priva del senso della vita; ecco come egli riesce a mantenere l'atteggiamento epico, l'ampio respiro e la notevole forza narrativa capace di cogliere la totalità e continuità della vita.

Anche Jergovic è uno scrittore epico; possiede la capacità di lasciar parlare l'oggettività delle cose e degli avvenimenti, di cogliere la storia di un individuo o di un paese nei dettagli più concreti, con sobria essenzialità.

Ma la tragedia che scuote il mondo di Jergovic è insensata, grottesca; nei suoi racconti la violenza sanguinaria rivela il suo orrore attraverso l'indifferenza, attraverso l'apparente normalità di avvenimenti mostruosi, attraverso il caotico smarrimento e attraverso bizzarre coincidenze.

E' una violenza che proviene da ovunque, eppure non si sa da dove, e che viene costantemente mistificata, attribuita ad altri, in modo da non essere più identificabile, una violenza di tutti contro tutti. E' una violenza abbinata alla falsificazione dell'ideologia, dell'informazione e del giudizio, che spesso nomina a priori i complici e vorrebbe indicare i colpevoli ancor prima che abbiano commesso il delitto. Mai come nella guerra dei Balcani la violenza e la menzogna si erano abbinate e assomigliate in tal misura.

Il respiro epico dell'autore diventa dunque breve ed interrotto; il narratore non descrive una vita intera, come disse Babel' di Tolstoj, bensì i cinque minuti - che Babel' scelse come proprio metro - in cui una vita si condensa e si spezza. La guerra, grande protagonista di questi insoliti racconti, non si vede; essa non è in primo piano, bensì costituisce la cornice, lo sfondo onnicomprensivo. La guerra si manifesta nel dettaglio, in colui che non ritorna a casa o viene colpito improvvisamente mentre sta portando l'acqua, nei particolari di un improvviso trasloco o nelle incomprensioni e nelle difficoltà che improvvisamente impediscono un amore.

Il mondo di Jergovic è vitale e allo stesso tempo inquietante. Vitale per le svariate vicende di individui irripetibili, per la loro picaresca familiarità con le osterie e con il destino, con il quale chiacchierano e che a volte riescono ad ingannare. Inquietante per l'assurdità che avvolge e distrugge il tutto, per l'astrazione che permette l'assurda e stupida violenza. In Jergovic è presente la compassione e un grande amore per la vita sensuale ed effimera, diventata effimera a causa di una guerra incomprensibile perché priva di un motivo intelligibile.

Molti anni fa - in un'epoca quasi lontana - quando percorrevo la Bosnia in lungo e in largo durante i miei viaggi zingareschi lungo il Danubio e nei paesi confinanti, trovavo in Bosnia anche la felicità. Nel mondo di Jergovic - come del resto in nessun altro mondo - la felicità certamente non può esistere, eppure paradossalmente essa si sente; si sente quando potrebbe e dovrebbe essere vicina, il che rende ancora più terribile la sua impossibilità. E così non rimane altro che la rinuncia alla vita reale, la precarietà: "In un mondo fatto così - scrive Jergovic - c'è una regola fondamentale, che si riduce ad una valigia sempre pronta".

 

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