"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Il Corriere del Trentino del 28 maggio riporta un'interessante intervista a Lorenzo Dellai sul voto di domenica scorsa. L'idea di un luogo comune di progettazione politica del centrosinistra autonomista. Forse, piano piano...
di Tristano Scarpetta
«Questo voto ha aperto un ciclo politico nuovo». A Lorenzo Dellai non sfuggono gli aspetti contingenti che hanno catalizzato lo straordinario successo elettorale del Pd, ma non si ferma a quelli. Domenica è stato infranto un tabù: molti elettori che in passato non avrebbero mai votato a «sinistra» hanno votato Pd. Un dato che, secondo l'ex governatore, potrebbe diventare in parte «strutturale». Di qui la proposta: dare vita a «un'associazione politica che crei il campo comune in cui democratici, popolari e autonomisti possano andare oltre la coalizione tra partiti».
Onorevole, che valutazione dà del voto di domenica in Trentino? «Molto positiva, per due motivi. Per l'elezione di Dorfmann, la cui candidatura è stata un ponte tra il Pd, cui la Svp si era collegata facendo una chiara scelta di campo, e il Ppe. Ma anche per il grande divario, maggiore che nel resto d'Italia, tra la principale forza europeista, il Pd, e gli antieuropeisti, M5s in testa».
Anche molti elettori del suo partito, l'Upt, hanno votato Pd. «So bene che è andata così. Lo hanno fatto alla luce del sole, senza farsene un problema. Hanno visto nel Pd la diga all'avanzata del populismo, dello sfascio».
Anche lei ritiene che il 42,35% del Pd sia il risultato della polarizzazione elettorale tra Renzi e Grillo? «È evidente. In Trentino, come in Italia, il voto è stato condizionato da aspetti contingenti, tra i quali il principale è la polarizzazione Grillo-Renzi, con la netta affermazione di quest'ultimo. Eppure, io credo che questo voto abbia aperto un ciclo politico nuovo».
Restando al dato provinciale, i 93.038 voti ottenuti dal Pd in un quadro di bassa affluenza dicono che migliaia di persone non «di sinistra» e nemmeno vicine alla sinistra domenica hanno votato Pd. È stato infranto uno storico tabù? «La domanda che lei pone ci porta dal piano oggettivo della contingenza elettorale a quello, tutto da scrivere, dell'evoluzione strutturale che si potrà verificare. Le variabili sono molte e dipendono in primo luogo dalla capacità che avrà Renzi di interpretare la richiesta, insieme di sicurezza e di cambiamento, che è arrivata dalle urne. Ritengo e spero che il Trentino possa essere anche questa volta all'avanguardia dei processi politici nazionali». In che modo? «L'anomalia che, in passato, ci ha permesso di resistere alle sirene del berlusconismo e al rancore leghista è stata la coalizione: un luogo plurale ottenuto rifiutando la semplificazione nazionale e la diaspora dell'area popolare. Qual è la novità che il voto di domenica ha definitivamente sancito? La fine della forma partito che noi abbiamo conosciuto. Ha vinto Renzi andando oltre il potenziale del Pd. Il tema è ora come dare stabilità a questa nuova fase».
Lei cosa propone? «Se viviamo una fase post-partitica, anche la nostra coalizione fatta di partiti deve evolvere in un luogo politico più forte e più stringente, che non può nascere da idee al ribasso come quella delle fusioni parziali tra partiti. Credo che lo strumento più opportuno per costruire un campo comune possa essere un'associazione politica che unisca ciò che già siamo: democratici, popolari, autonomisti e riformisti».
La prima obiezione che nascerà in casa Pd sarà: perché mai dovremmo rimetterci in discussione quando siamo vicini a rappresentare la maggioranza dei trentini? «Non si chiede a nessuno in questa fase di smantellare nulla, questo deve essere chiaro, solo di costruire un luogo comune in cui progettare la politica. L'evoluzione, come dicevo in premessa, è tutta da scrivere. Io a questo progetto mi sentirei di dare un personale contributo. Il Trentino non può limitarsi a fotografare ciò che c'è già a Roma e nemmeno pensare che basti trovare formule dall'orizzonte esclusivamente locale. Anche Sergio Fabbrini, sul vostro giornale, tratteggia un percorso simile».
Insomma, i tempi secondo lei sono maturi perché l'anomalia trentina possa trovare un nuovo assetto che veda il Pd come punto di riferimento nazionale? «Dipende dalla evoluzione del percorso iniziato da Renzi. Nel "campo democratico e popolare" la nostra esperienza si troverebbe in assoluta sintonia. È il campo che nella nostra terra abbiamo sempre coltivato. Mi permetto di osservare che veniamo da quindici anni di coalizione guidata da un popolare, che poi sarei io, che hanno visto portare avanti in Trentino politiche che sono andate oltre le istanze dei socialdemocratici europei: il reddito di garanzia, gli investimenti nella scuola e nella ricerca, un welfare diverso da quello nazionale».
E le liste che hanno cercato, anche in queste elezioni, di dare vita a un «terzo» polo? Anche lei ha sondato questa strada. «Fanno parte della nebbia nazionale in cui includo le mai sopite istanze di autosufficienza del Pd. Mi pare siano avventure naufragate. Scelta europea ha deciso di fare riferimento al liberismo europeo, che non ci rappresenta. L'alleanza tra Ncd e Udc non ha saputo uscire da un'ambiguità che li ha fatti andare al di sotto delle aspettative. Avevamo proposto una lista delle forze che oggi governano con il Pd, ci è stato risposto di no. Personalmente, sono stato felice di potermi trarre dall'imbarazzo votando Dorfmann. Altri amici fuori dal Trentino non hanno avuto questa possibilità».
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