"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Ugo Morelli *
(5 dicembre 2014) Uscendo dal cinema Astra dove, grazie alla solita qualità delle scelte, ho visto Due giorni e una notte dei fratelli Dardenne, mi chiedo: ma come abbiamo fatto ad accettare un potere dominante che ritiene pazzia il sogno di un mondo migliore?
La vita individuale e sociale dilaniata dalla crisi del lavoro e un legame sociale distrutto dalla precarietà lavorativa sono rappresentate in modo magistrale e tremendo nel film. Si attende fino alla fine che vi sia uno spazio di consolazione, ma invano. E giustamente, viene da aggiungere.
I dati sulla disoccupazione, soprattutto quella giovanile, sono implacabili e la speranza ha lasciato il posto da tempo alla rassegnazione. Solo chi cerca il consenso come unica distinzione del governo della nostra realtà può fare finta di niente, sostenendo che le cose vanno bene. E i numeri non dicono tutto.
In gioco sono l’autostima, la dignità individuale e il legame sociale: quella struttura elementare dell’esistenza che si gioca nel mondo interno e nel mondo esterno e che permette di vivere senza vergognarsi di essere nati. Eppure è proprio il legame sociale che viene messo in discussione dalla considerazione del lavoro solo come mezzo e non come fonte di significato e di individuazione, che oggi tende ad affermarsi.
Il significato del lavoro per ognuno di noi emerge, viene fuori, si manifesta al punto di incontro fra il nostro mondo interiore, quello che ognuno di noi sente di essere, e il mondo esterno con la sua capacità di riconoscere o di negare le aspettative individuali.
Il tempo attuale è un tempo di negazione in tal senso, al punto che i giovani con cui si studia il fenomeno mostrano di vergognarsi perfino di avere delle aspettative. O, se hanno un lavoro a termine, come accade nel film, sono messi spesso, molto spesso, di fronte a forme di vero e proprio cannibalismo verso i propri compagni di lavoro, per fare una gara di sopravvivenza che è non solo svilente, ma anche esistenzialmente degradante.
È per questo che la superficialità o l’indifferenza con cui si continua a non mettere al primo posto il problema del lavoro giovanile risulta particolarmente arrogante e foriera di un tempo a venire di particolare durezza individuale e sociale. Ancor più inaccettabili sono le posizioni di chi continua a illudere con promesse e ottimismi di maniera. Fa venire in mente il Deuteronomio 18: 10-12: “Non si trovi in mezzo a te... né chi esercita la divinazione, né pronosticatori... né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli spiriti, né chi dica la buona fortuna...; perché il Signore detesta chiunque fa queste cose”.
* dal Corriere del Trentino di oggi
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