"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Scontro di civiltà? Un suicidio

Paul Klee

di Michele Nardelli

(10 gennaio 2015) Se l'idea tragica dello “scontro di civiltà” cercava una potente veicolazione l'ha trovata nelle mani assassine che hanno fatto strage a Rue Nicolas Appert, nel cuore di Parigi.

In una delle rappresentazioni della solidarietà alle vittime del settimanale satirico Charlie Hebdo, le matite vengono stilizzate come altrettante torri gemelle ed in effetti l'impatto emotivo suscitato dall'azione terroristica ha raggiunto, almeno sul piano culturale, un effetto analogo a quello delle Twin Towers: “Siamo in guerra”.

I connotati di questa guerra appaiono – a chi la invoca – in tutta la loro nobiltà: sono in gioco i valori della libertà, della democrazia, del diritto di critica e di satira, della laicità... i valori occidentali nati dalla rivoluzione francese, per i quali si è lottato armi in pugno nella resistenza al nazifascismo. “Occorre reagire” – si dice – “non si può stare a guardare l'islamizzazione del mondo”, aggiungendo sottovoce ma non più di tanto “con il suo portato di oscurantismo”.

E' lo “scontro di civiltà” che s'invera. S'intona la Marsigliese, simbolo di un'unità nazionale che va da Voltaire a Giovanna d'Arco e che non ammette defezioni, né dubbi. “Senza se e senza ma”, come a dire che non ci sono domande da porsi ma, come in ogni emergenza, solo il dovere di esserci, prima che sia troppo tardi.

E' accaduto così anche dopo l'11 settembre 2001, “à la guerre comme à la guerre” si diceva, senza nemmeno accorgersi come una guerra “per la non negoziabilità dei nostri stili di vita” fosse già in corso da oltre un decennio ed eravamo noi occidentali a combatterla nelle regioni del petrolio.

Con quel vuoto di memoria (o falsa coscienza) si apriva una fase nuova, quella della lotta al terrorismo. Anche in questo caso dimentichi di averne finanziato, in questo caso per ragioni geopolitiche (il nemico del mio nemico è mio amico) la nascita e la capacità di fuoco. Ora l'Occidente doveva snidare Osama bin Laden... non con un'azione di intelligence bensì con ordigni da cinque tonnellate riversati sull'Afghanistan, con la seconda guerra del Golfo, con la destabilizzazione di paesi che con il terrorismo internazionale non centravano nulla.

Sarebbe doveroso un bilancio. Cosa hanno lasciato vent'anni di guerre e di dolore?

Oggi questo nuovo tragico risveglio, con quelle matite a forma di torri gemelle. Ancora una volta, proibito interrogarsi sugli esiti (disastrosi) di tredici anni di lotta al terrorismo internazionale che hanno contribuito a trasformarlo in un moderno stato sovranazionale che fa adepti non solo nel vicino oriente ma finanche nel cuore della vecchia e fragile Europa.

Che si ritrova, di fronte al terrorismo tascabile, più vulnerabile degli Stati Uniti, incapace di imparare dalla storia e di elaborare il suo Novecento che, a guardar bene, proprio nella logica dello “scontro di civiltà” ha partorito la shoah, almeno in alcuni suoi tratti la tragedia balcanica degli anni '90, l'endemico conflitto in Palestina, fino ad arrivare ai giorni nostri con l'“esportazione della democrazia” in Libia e in Ucraina. E di riflettere sulla sua incapacità di proposta politica verso un vicino oriente che abbiamo contribuito a trasformare in una polveriera.

Il dolore per i tragici avvenimenti non possono farci perdere la lucidità e farci cadere in quello scenario da incubo che gli strateghi dello “scontro di civiltà”, fanatici della loro superiorità, vorrebbero inverare.

Per sconfiggerli entrambi, l'unica arma possibile è la cultura, il dialogo, l'elaborazione della storia. E' nella conoscenza reciproca, nella valorizzazione delle diversità (perché anche le parole assumono significati diversi a seconda dei contesti) e nella capacità di gestione nonviolenta dei conflitti, che dobbiamo investire se non vogliamo che la paura prenda il sopravvento, con il suo portato di pregiudizio, rancore e di aggressività.

E' quello che, presenti al nostro tempo, come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani abbiamo cercato di fare affermando che lo “scontro di civiltà” rappresenta un suicidio visto che proprio di quelle civiltà siamo l'esito. Poteva essere una strada diversa, non diplomazia interessata e nemmeno pacifismo di maniera, semplicemente politica.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da e.b.e il 14 gennaio 2015 11:32
    La Francia paga un tributo di sangue per essere la Francia.
    L'Europa non è sufficientemente unione per evitarlo.
    Responsabilità anche della Francia, quando boccia il progetto di costituzione europea (2005) per paura dell'idraulico polacco. E la sua opposizione alla Turchia, che pure è parte del Consiglio d'Europa?
    Così ogni paese è da solo nell'emergenza, alla Grecia la crisi, all'Italia le carrette del mare, all'Ungheria la sua incerta democrazia, alla Francia il suo Voltaire.
    “L'Europa, dopo l'eccidio di Parigi, capirà che cos'ha rischiato dividendosi, distraendosi, ingannandosi?” (Beppe Severgnini, Corriere della sera, 12.01.15).
    Forse, quella della manifestazione di Parigi ma che dire di quella, assente, alla chiusura del semestre italiano?
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