"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Dal sito www.unimondo.org un'interessante analisi di Giorgio Beretta
di Giorgio Beretta
(10 aprile 2015) Ieri al Palazzo di Giustizia di Milano, Claudio Giardiello ha ucciso tre persone e ne ha ferite gravemente altre due. Per farlo ha usato una Beretta, modello 98, calibro 9x21 (inizialmente era stato detto una Beretta calibro 7.65) alimentata da un caricatore da 15 colpi: di fatto – secondo le prime ricostruzioni – Giardiello avrebbe inizialmente sparato 13 colpi con la stessa arma, legalmente posseduta con tanto di porto d’armi (nonostante il parere - non vincolante - negativo dei Carabinieri), e al momento dell’arresto aveva ancora con sé alcuni caricatori. «Volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato» avrebbe detto Giardiello subito dopo essere stato catturato.
Il caricatore non è un dettaglio di poco conto. Come riporta ancora il Corriere della Sera, Giardiello avrebbe sparato “nove colpi contro suo nipote, Davide Limongelli, 40 anni e due figli, ferendolo gravemente”. Quindi avrebbe “rivolto l’arma contro l’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani, 37 anni, uccidendolo con un colpo all’altezza del cuore”. Il tutto in pochi secondi. Giardiello è stato descritto come “un paranoide ingestibile” dall’avvocato Valerio Maraniello che lo aveva difeso per imputazioni di bancarotta fraudolenta e che proprio per le difficoltà a gestire il suo cliente ha poi deciso di rimettere il mandato. Ma uno dei suoi amici più stretti non ha esitato, anche dopo la sparatoria, a definire Giardiello una persona "di buon carattere", e come “una persona molto buona”.
In un clima sociale sempre più teso e con le incalzanti minacce di vari gruppi terroristici di matrice islamista, la lobby delle armi pare abbia come unica preoccupazione quella di “difendere i diritti dei possessori di armi”. Dove siano scritti questi diritti lo sanno solo loro, ma così recita un post della pagina facebook di “Firearms United – Italia”, una “organizzazione comunitaria” che fa parte delle “Firearms United”, la quale si descrive come “worldwide confederation of gun owners” la cui “mission” sarebbe “to fight together for a better future for all of us” (combattere insieme per un futuro migliore per tutti noi”).
Stando all’esiguo numero di “follower” (mi piace) non ci sarebbe molto da preoccuparsi: si tratta, infatti, di 2.429 seguaci che sono un nonnulla anche solo rispetto alla pagina facebook di Unimondo (94.730 mi piace). Certo, sapere che è gente armata non tranquillizza, soprattutto alla luce del loro messaggio (post) a seguito della strage di Milano. Lo riporto così com’è scritto: “CHI VUOLE DISARMARCI, VUOLE TRASFORMARE L’ITALIA IN UNA GIGANTESCA "GUN-FREE ZONE", OVE SOLO I CORPI DELLO STATO HANNO LE ARMI. LORO E I CRIMINALI…”.
Si potrebbe rubricarli ad un gruppo di fanatici (ce né di tutti i tipi, lo sappiamo) ma il punto è un altro. Nelle scorse settimane Firearms United – Italia si è fatta paladina di una singolare e preoccupante iniziativa. Ha infatti inviato una lettera a tutti i parlamentari e ha promosso una petizione online per chiedere che dal testo di conversione in legge del D.L. 7 del 18 febbraio 2015, vengano rimossi una serie di emendamenti che – secondo Firearms United – introdurrebbero “nuove norme relative alla definizione delle armi da caccia ed alla detenzione dei caricatori per armi comuni da sparo, questi ultimi oggetti proprio recentemente liberalizzati”. Il testo, già approvato alla Camera, è in discussione in questi giorni al Senato: secondo Firearms United–Italia e shooters vari sarebbe un “Cavallo di Troia ideale per far passare restrizioni che il fronte anti-armi italiano cerca da tempo”.
Ma quali sarebbero le “restrizioni” che verrebbero introdotte?
Uno di questi terribili emendamenti inserirebbe “l’obbligo di denuncia di detenzione di tutti i caricatori amovibili di capacità superiore ai 15 colpi per le armi corte e ai 5 colpi per le armi lunghe”. Ora, trattandosi di un “obbligo di denuncia” non ne limita affatto la “detenzione” e quindi non comporta alcuna “restrizione”. C’è da chiedersi invece per cosa e a chi servano dei caricatori amovibili con capacità superiore ai 15 colpi per le armi corte (pistole, ecc.): se è certo che sono utilissimi per rapinatori, potenziali assassini e malintenzionati di ogni risma sarebbe interessante sapere dagli shooters l’uso specifico per la difesa personale. E, già che ci sono, i fan delle armi potrebbero anche spiegarci la necessità di caricatori con oltre 5 colpi per le armi lunghe: immagino siano utilissimi per il tiro al fringuello….
Inoltre, sempre secondo i fan delle armi, con un altro di questi temibili emendamenti verrebbe “vietato l’uso venatorio di tutte le armi inserite nella categoria B7 (ovvero quelle armi da fuoco lunghe semi-automatiche aventi l’aspetto estetico di un’arma militare) e dunque se ne impedirebbe la classificazione come armi da caccia, detenibili in numero illimitato”. In effetti è risaputo che i black-rifles (che gli stessi shooters descrivono come “armi lunghe semi-automatiche a canna rigata, a percussione centrale o anulare, aventi l'aspetto di un'arma militare e, talvolta, derivanti proprio dal design di un’arma d’ordinanza”) sono indispensabili per le attività venatorie. Ciò che i fan delle armi di fatto chiedono è un’altra cosa: lasciateci giocare con le armi e, soprattutto non impediteci di possederne quante vogliamo. Come afferma uno dei loro più loquaci esponenti, tal Pierangelo Tendas, “la mancanza di episodi criminali significativi commessi con armi sportive moderne nel nostro Paese è esemplare: non c'è motivo fondato di imporre limitazioni di alcun tipo!”. Della serie: Se volete limitarne l’uso, prima dovete mostrarci il cadavere di un black-rifle!
Ma c’è di più. Il responsabile delle “restrizioni” proposte sarebbe – secondo gli shooters – “l’attuale Capo della Polizia, il Prefetto Alessandro Pansa, che già all’epoca del "Correttivo 204" si adoperò per le restrizioni ai caricatori amovibili”. Si tratta – ovviamente – di “voci di corridoio non confermate (e non confermabili), ma molto insistenti e affidabili”, avverte il già citato Pierangelo Tendas.
E poi la chicca: “Con queste restrizioni – continua Tendas – oltre a "uccidere" le nuove generazioni di campioni italiani nelle discipline di tiro, si rischia di mandare in crisi un settore, cosa che l’Italia, con il suo PIL disastrato e l’attuale tasso di disoccupazione, non può permettersi”. In effetti tutti sappiamo che l’economia italiana si regge sui black-rifles e a limitarne il possesso si scatenerebbe una crisi terribile. Per non parlare poi del danno economico derivante dalla perdita delle medaglie olimpiche...
Ma il pallino della “difesa fai da te” (o meglio, “me la faccio da me”) assilla gli shooters che concludono: “Quanto ci vorrà per capire che a fare da deterrente per il terrorismo non sono leggi più severe, ma più permissive, sul porto e sull’uso d'armi da parte dei comuni cittadini?”. Già appunto, spiegatelo ai poliziotti e anche ai “comuni cittadini” se si sentono più sicuri sapendo che ci sono in giro “onesti cittadini” dotati di black-rifles.
Fin qui gli shooters e i fan-united delle armi. Inquietanti, minacciosi ed in crescita, ma tutto sommato tuttora (per fortuna!) marginali ed emarginati.
Ciò che invece preoccupa è la presa di posizione della vera lobby italiana delle armi, l’ANPAM (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni, che da qualche tempo ha aggiunto “Sportive e Civili”). L’associazione, che annovera i maggiori produttori di “armi, munizioni ed esplosivi” comuni e militari (dalla Beretta alla Tanfoglio alla Fiocchi alla S.E.I.) ha emesso, nel suo stile low profile, una nota-stampa (qui in .pdf) più compassata rispetto a quelle di Firearms United e degli shooters, ma sostanzialmente simile nei contenuti. Comincia lamentando che gli emendamenti governativi all’art. 3 approvati dalla Camera dei Deputati sarebbero “assai problematici” per il settore armiero sportivo e civile, “inutili ai fini dell’ordine pubblico” e, se attuati,“genererebbero molteplici difficoltà interpretative e di ordine pratico”.
L’ANPAM – come spesso accade – asserisce, ma non spiega le ragioni delle sue affermazioni. Le spiegazioni, evidentemente, preferisce darle a porte chiuse “ai tavoli tecnici del settore”, in grado di osservare la “necessaria meditazione”. Anzi, “si stupisce” di non essere stata messa al corrente della questione considerato che è stata “fruttuosamente” investita di altre questioni trattate nel medesimo decreto. Insomma, per l’ANPAM è necessario far sentire la propria voce, ma è meglio non sollevare troppi polveroni, soprattutto di questi tempi. A sollevarli, tanto, ci pensano già i “Firearms United” e gli shooters.
* giorgio.beretta@unimondo.org
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