"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
(9 maggio 2015) Domenica 10 maggio si vota in buona parte del Trentino per il rinnovo dei Consigli Comunali. Capita che in questi giorni qualcuno mi chieda come votare ed è forse la prima volta che, in una consultazione elettorale che investe il mio territorio, la mia risposta non riesca a nascondere l'imbarazzo per la fatica che provo nel riconoscermi in un partito.
In oltre quarant'anni di impegno politico, la dimensione dell'agire e del pensare collettivo ha rappresentato il tratto per me essenziale, nel quale l'esercizio del voto era sì un momento importante ma non certo esaustivo di tale impegno. Corrispondeva ad un progetto di cambiamento profondo della società, che non poteva che essere collettivo.
Ora non solo questa parola - collettivo - risulta desueta ma anche la politica ha assunto connotati diversi, un po' come è accaduto per altre parole finite nel tritacarne della banalizzazione di un tempo che non sa fare i conti con la storia e che fatica ad esprimere nuovi paradigmi. “Non più e non ancora”, questo è l'aforisma per descrivere il presente.
In questa cornice di incertezza vivo – per la prima volta da quando a diciassette anni decisi di iscrivermi ad un partito – la condizione di “non appartenenza”. Conosco per la verità la solitudine che da sempre accompagna il pensiero critico, ma anche quando non mi sono (meglio sarebbe dire "non ci siamo") più riconosciuto nelle proposte politiche esistenti, non ho (non abbiamo) esitato a costruirne di nuove, immaginando la progettualità politica come capacità di “pensare da sé” (per usare la bella espressione di Hannah Arendt), della ricerca originale, dell'“ebbrezza della creazione politica” di cui parlava Altiero Spinelli dopo il confino a Ventotene. Anche a costo di non essere compresi.
Ho imparato così quel che significa essere “presenti al proprio tempo”. Ovvero il non accontentarsi mai di quel che c'è, il (cercare di) comprendere i segni del tempo, il non rincorrere la realtà magari per ficcarla a forza nel proprio schema interpretativo. E' il significato di visione, ben diverso – se posso dire – dal sogno, parente stretto del delirio. Quella capacità di alzare lo sguardo che dovrebbe essere il nutrimento della politica e che invece quest'ultima ha miseramente smarrito.
Con la scelta di non rinnovare la mia adesione al PD del Trentino ho semplicemente preso atto che lì tutto questo non aveva cittadinanza, al di là delle testimonianze individuali di tante persone (e amici) che credono che quel luogo politico sia ancora abitabile.
E di nuovo mi sono chiesto, e ho chiesto ad altri, come provare a riempire lo spazio fra il “non più” e il “non ancora”: è quel che ci siamo proposti come “territoriali#europei”. Uno spazio intimamente politico ma non partitico, che si relaziona creativamente all'impegno fuori e dentro i partiti (perché la crisi della politica è in realtà di tutti i corpi intermedi), lasciando aperta la risposta sull'agibilità di tali luoghi.
A tutto questo, per tornare a domenica, non può che corrispondere una scelta di voto trasversale al centrosinistra autonomista verso il valore delle persone. Persone che, di fronte all'omologazione del presente, hanno scelto di mettersi in gioco affinché questa terra ritorni ad essere un laboratorio politico originale.
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