"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere in tempi interessanti» 17
di Michele Nardelli
(26 maggio 2015) Il quadro che esce dal ballottaggio di domenica completa quello emerso dalle urne quindici giorni fa e fotografa impietosamente la crisi del centrosinistra autonomista trentino. La coalizione che governa la nostra autonomia esce dalle elezioni amministrative con una cocente sconfitta non solo per le sue divisioni interne che hanno spesso visto i partiti collocarsi in schieramenti diversi, ma per una ragione ben più profonda e grave, ovvero la mancanza di un disegno per il futuro della nostra comunità.
Nei 25 Comuni sopra i tremila abitanti, il centrosinistra autonomista si afferma solo in 7 Comuni: Ala, Dro, Lavis, Mori (nonostante la defezione del Patt), Riva del Garda, Trento e Volano (anche in questo caso senza il Patt). Negli altri 18 Comuni sono eletti sindaci candidati di aggregazioni civiche di diverso orientamento politico e culturale (civiche vicine al centrosinistra, civiche con il Patt, civiche civiche, civiche vicine al centrodestra). Il centrosinistra perde Brentonico, Cles, Folgaria, Mezzolombardo e Rovereto, mentre si afferma a Lavis e a Volano dove prima era all'opposizione.
La sconfitta di Rovereto è pesante per le proporzioni con cui è avvenuta, per gli effetti che produrrà sul secondo comune del Trentino e per il significato politico che assume. Le ragioni di tale sconfitta, per certi versi annunciata, sono diverse e andrebbero affrontate con l'onestà intellettuale dell'analisi piuttosto che con quella della resa dei conti come già vedo prevalere nel PD, ciascuno a commentare questo risultato come responsabilità altrui.
L'esito elettorale di Rovereto (ma non è solo un dato della città della quercia) evidenzia lo smarrirsi di un disegno politico provinciale, l'incapacità di conquistare a tale disegno una parte importante di un elettorato sempre meno fidelizzato e – in assenza di una visione – più incline alle istanze particolari o agli umori, riconducibili alla materialità degli interessi ma anche talvolta all'attenzione verso i problemi e le persone (l'empatia non è altro rispetto ai contenuti).
Con il nuovo corso provinciale, inutile negarlo, è venuto meno un progetto che pure già nel corso della passata legislatura si era manifestato per effetto della scarsa attenzione prestata alla dimensione coalizionale (l'idea del partito autosufficiente coltivata in una parte del PD), dell'incapacità di affrontare il tema di un nuovo modello di sviluppo per il Trentino (ivi compresa la scarsa sensibilità verso l'attuazione della riforma istituzionale della Provincia), della crisi della politica e dei corpi intermedi, della fatica a far emergere una nuova classe dirigente. Contraddizioni che sono esplose negli ultimi mesi, evidenziando l'inadeguatezza della coalizione come dei partiti che la compongono. A prescindere che si vinca o che si perda.
Quello progettuale è, a mio avviso, il nodo cruciale che si evidenzia in queste elezioni trentine. A guardar bene è quello che emerge anche dal voto che altri europei hanno espresso in quelle stesse ore di domenica, dove vengono premiate due idee di cambiamento – peraltro molto divergenti fra loro – di Europa e di futuro. In Spagna come in Polonia, in Grecia come in Francia qualche mese fa, le strade del cambiamento ancora sembrano risentire dei vecchi paradigmi novecenteschi. Non serve la sfera di cristallo per comprenderlo, ma è facile immaginare che sarà lo stesso anche domenica prossima in Italia.
Occorrono altre strade, altri pensieri. E «ci va il tempo che ci va...».
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