"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Riprendo dal Corriere del Trentino l'intervento di Alberto Tomasi che nei giorni scorsi ha dato il là ad un intenso confronto attorno all'opportunità o meno che le compagnie degli Schützen entrino nelle scuole interagendo con l'attività formativa. Nel quale è intervenuto proprio oggi anche il presidente della PAT (nonché assessore all'Istruzione) Ugo Rossi che ha tacciato da par suo come "censure da intellettualoidi" le obiezioni sollevate. Ma il tema - come scrive nel suo editoriale il caporedattore Simone Casalini - è tutt'altro che banale. Scrive Casalini: «L'ingresso degli Schützen nelle aule scolastiche ha subito innescato una polemica tra attori politico istituzionali, sociali e del sapere. La Storia è il grande discrimine della vicenda: chi ha il diritto di scriverla e tramandarla? È una frontiera labile. Spesso i vincitori sono i detentori della verità storica. O chi ha il monopolio geopolitico di questa. La storia dell’Occidente ha ridotto a epifenomeni gli altri fasci di storie che ora riemergono nelle nostre vite sotto diversa forma per chiedere cittadinanza. Nel caso degli Schützen è difficile parlare di una storia emarginata. Sono rimasti come testimonianza di un tempo arrestato e estinto, portatori di una nostalgia che il popolo trentino non conosce. Che la loro memoria sia divisiva lo dimostra anche l’ultimo caso: due classi su quattro della scuola elementare «Regina Elena» hanno scelto di non aderire perché non li hanno ritenuti latori di un messaggio condiviso. Le agenzie educative, come la scuola, devono poi poter attingere da istituzioni culturali riconosciute, da specialisti del sapere. I quali possono anche divergere su alcuni dettagli, ma motivandoli sul piano storiografico e non su quello ideologico. Si alimenta, altrimenti, il circuito della conoscenza fai da te. Se poi l’intento non era un approccio storico agli ultimi cento anni del Trentino, ma spiegare gli arcani del vestito da Schützen, allora viene da dire che forse non è quello il compito della scuola».
di Alberto Tomasi
L’antefatto è questo: in una scuola del Trentino è arrivata l’offerta di una compagnia Schützen per incontrare gli alunni. Lo scopo sarebbe quello di fornire un contributo alla conoscenza della storia locale, forse legando l’intervento alle coincidenze con l’anniversario della Prima guerra mondiale (e, si può supporre, facendo da contraltare, alla lettura e alle celebrazioni che probabilmente accompagneranno la prossima adunata nazionale degli alpini a Trento).
La richiesta degli Schützen è perlomeno curiosa e si potrebbe intendere come ulteriore prova di un’affettuosa, magari un poco cameratesca e paternalista, presenza folklorica: un po’ di nostalgia asburgica, della buona amministrazione d’antan, “stavamo meglio una volta”, riprendiamoci la nostra terra, difendiamo le nostre radici. Quindi che male possono fare se entrano in una classe, raccontano di sé, ricordano il passato e propongono una prospettiva che può avere suggestioni che possono colpire l’immaginario dei bambini, rendendo interessante il possibile incontro?
A mio avviso invece l’eventuale ingresso degli Schützen sarebbe quantomeno inopportuno per varie ragioni, a partire dal fatto che si fornirebbe loro una legittimazione non dovuta. Come associazione credo che abbiano il diritto di muoversi, rispettando naturalmente il dettato costituzionale, secondo le loro finalità. Ma appunto per questo non sono dei soggetti neutri e, soprattutto, faccio fatica riconoscere loro una preparazione (pedagogica, didattica, infine storica) adeguata per proporsi come giusti interlocutori nell’esperienza di apprendimento degli alunni. Non credo che potrebbero efficacemente assumere il compito di integrare il lavoro degli insegnanti, non penso che siano a conoscenza (e, quindi, condividano) le qualità professionali che sono imprescindibili per operare nei processi di insegnamento. Quindi, si farebbe fatica, mancando questi requisiti, a non vedere un loro eventuale intervento nelle scuole come forma di propaganda spicciola.
Un altro motivo di riflessione si lega alla volontà degli Schützen di accreditarsi come genuini interpreti della storia locale, talora accompagnata da un velato disprezzo per il lavoro degli storici. In questo frangente si rivelano due aspetti di merito. Il primo attiene all’approccio spesso unilaterale e semplificatorio di vicende, fatti e persone prese in considerazione. Il secondo, quasi più importante, al “taglio” dato alla voce “storia locale” che, pur non essendo io particolarmente aggiornato sulle pubblicazioni degli Schützen, è cosa ben diversa dall’impronta che deve avere la frequentazione della cosiddetta storia locale per gli alunni della scuola primaria. In questo senso, la scuola ha tutti gli strumenti (e anche la responsabilità) per governare correttamente lo spazio che è giusto riservare al contesto reale e a quello fantastico che è parte fondamentale dei processi di crescita infantili. Sono gli insegnanti che hanno l’onore e l’onere di camminare a fianco dei loro alunni nelle acquisizioni cognitive ed emotive che appartengono alla loro età. I programmi scolastici nazionali del 1985 (non smentiti dalle successive operazioni legate agli indirizzi elaborati più recentemente a livello provinciale), nella parte dedicata proprio a storia, geografia e studi sociali, sono molto chiari nel disegnare bisogni di apprendimento dei bambini e intervento intenzionale degli insegnanti. Basta questo, a mio avviso, per trattare con molta prudenza l’offerta degli Schützen, sapendo che la scuola ha buone e fondate ragioni per un cortese e non polemico rifiuto. Questa risposta spetta agli organi collegiali, spetta ai dirigenti scolastici nell’esercizio delle competenze assegnate. Diversamente, c’è non solo il pericolo di fare i conti con contributi tutti da verificare, ma anche il rischio di chiamare indirettamente in causa impropriamente altri soggetti, a partire dai genitori, per decidere il da farsi.
Certo, la mia lettura dell’antefatto avrebbe bisogno di una più autorevole conferma. Penso che gli storici che si sono dedicati allo studio della storia locale della nostra provincia, prima, durante e dopo l’appartenenza all’Impero austro-ungarico siano perfettamente in grado di farlo. Ricerche, pubblicazioni, libri anche recenti su cui insistere per provare a ragionare sulla ricezione della storia locale nell’ambito della scuola primaria non mancano. Senza dimenticarsi che la scuola da sempre si occupa di questo, fin dalle prime stagioni della scuola attiva, proponendo fatti, interrogando nonni e genitori, osservando la natura e scoprendo le tante interazioni che caratterizzano l’ambiente di vita di ogni bambino.
* Alberto Tomasi, ex preside
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