"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Gaza. Sventolano le bandiere tricolori italiane

Vittorio Arrigoni

(16 aprile 2011) Oggi sabato alle ore 17.00 presso il Centro di formazione alla solidarietà internazionale a Trento (Via San Marco 1), in occasione della conferenza "Intrecci di pace" ci sarà un momento di ricordo di Vittorio Arrigoni

di Fabio Pipinato 

Quando ho saputo della morte di Vittorio Arrigoni s'è riaperta in me una ferita. Andare o restare. Nel '94, quando in Rwanda crollava tutto, io me ne andai. Non ebbi la forza di restare. Vittorio, invece, a Gaza, rimase. Fu l'unico italiano. Gli altri, come ci racconta Pax Christi, obbedirono all'ultimatum dei militari al valico di Heretz che ordinavano di uscire dalla Striscia. Vittorio disobbedì. Questa era la sua vita: disobbedire, rimanere e raccontare.

Sue parole: "non ce ne andiamo, perché riteniamo essenziale la nostra presenza di testimoni oculari dei crimini contro l'inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto". Poi vi fu l'operazione Piombo fuso. Due parole - un programma.

Confesso. Pur essendo Vittorio un formidabile blogger non l'avrei mai assunto tra i miei collaboratori tanto era irruente, frontale e disobbediente. Un duro come lo si apprende dal suo blog ma con un cuore grande così; sempre accanto ai bambini di Gaza. Ha scritto fiumi di parole su di loro.

I due collaboratori che ho in Palestina, ora dislocati in zone ancor più calde (Kabul e Brega), rischiano altrettanto. Andrea ha filmato proprio ieri la caduta di alcuni insorti e, per filmare, vi assicuro, bisogna esserci. Con tutte le precauzioni del caso. Ma non si sono mai, come Vittorio, dichiarati scudi umani. Non hanno mai valicato il muro della sicurezza. Muro fatto da infinite carte diplomatiche, permessi, autorizzazioni, firme, responsabilità perché in alcuni territori non risponde più nessuno. Lì Vittorio c'era. E raccontava. In tutti i social network era l'unica voce che usciva dall'ultimo campo di concentramento rimasto in questa terra. La "questione morale del nostro tempo" per dirla con Nelson Mandela.

Con questo non voglio affatto dare dell'irresponsabile a Vittorio. Ci mancherebbe. Ci pensa già certa carta straccia. Anzi. Senza di lui non avremmo saputo molte cose sullo strazio di un'infanzia bombardata nell'indifferenza mondiale. Ma questo stramaledetto lavoro porta a delle scelte ed io, come direttore di testata, ogni volta che firmo un contratto con un inviato mi fermo sull'andare o restare. Poche storie. Quando l'AIRE, la Farnesina, o chi per esso pone una dead line va rispettata. Punto. "Senza se e senza ma". Poi nessuno potrà raccontare la carneficina? Ed ecco che la ferita i riapre. Sono molte decine i conflitti che infestano il pianeta e poche decine gli anni dei nostri pochi inviati.

Ma la ferita fa ancor più male come scorresse dell'alcool sopra se veniamo a sapere che la mano omicida è  la mano amica. Come il Che, tradito dai contadini in Bolivia. Nonostante molti blogger sostengano ancora il contrario la dichiarazione di Huwaida 'Arraf, co-fondatrice dell'International Solidarity Movement (ISM) non lascia dubbi:"Vittorio ha dimostrato di essere più palestinese dei criminali che lo hanno assassinato". Non v'è scampo. Ove l'oppressione è quotidiana e l'embargo alimenta la miseria dovremmo chiederci come mai sul quel territorio stramaledetto non siano già tutti terroristi. E non il contrario.

Come uscire dall'inferno? Come bypasare un muro costruito unilateralmente? Vick, come amava farsi chiamare, raccontò più volte l'evasione. Il suo ultimo post narra di tre giovani che hanno recentemente perso la vita dentro ad un tunnel crollato. Ed è ancora grazie a lui se in tutta la Striscia di Gaza adesso, mentre scrivo, sventolano le bandiere tricolori italiane. Altro che i nostri 150 anni di cui ci siamo in gran parte vergognati di scendere in piazza per lo scadere della moralità pubblica. Laggiù nell'infermo del piombo fuso abbandonato dagli uomini e da Dio "il nostro difficile stare assieme" ha ritrovato senso.

Torniamo al nonsenso. Nei giorni scorsi il sito stoptheism.com, avverso all'International Solidarity Movement, aveva indicato Vittorio ("Utopia") come bersaglio numero uno per le forze armate israeliane. Il sito riportava un identikit completo, con immagini e dettagli per identificarlo, tra cui il tatuaggio sulla spalla. Poco dopo il rapimento, prontamente, il sito avrebbe fatto sparire il macabro annuncio di condanna a morte precedentemente diramato - riportano fonti dalla bacheca sul suo facebook. Full di amici. Che non ne accetta più.

Vittorio ci ha lasciato un libro. Sue parole: "Mettete quel volume al sicuro,vicino alla portata dei bambini, di modo che possano sapere sin da subito di un mondo a loro poco distante, dove l'indifferenza e il razzismo fanno a pezzi loro coetanei come fossero bambole di pezza.
In modo tale che possano vaccinarsi già in età precoce contro questa epidemia di violenza verso il diverso e ignavia dinnanzi all'ingiustizia. Per un domani poter restare umani."

"Nessuno - per dirla con la Tavola per la Pace - si permetta ora di utilizzare il suo assassinio per spargere altro odio e altra violenza contro questo o contro quello. Vittorio non ha mai voluto far del male a nessuno. Nessuno strumentalizzi la sua morte. Sarebbe come ucciderlo due volte. Con Vittorio si spegne una voce. Una voce chiara, sincera e diretta. Facciamo in modo che non si spenga anche la voce degli oltre 750.000 bambini che vivono prigionieri della Striscia di Gaza insieme ai loro genitori. Prima ci pensava Vittorio, ora ci dobbiamo pensare noi".

 

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