"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

La Ginestra, riflessioni e dialogo tra natura e cultura

Octavio Paz
di Octavio Paz (Città del Messico 1914 - 1998)

Il dialogo tra la natura e la cultura - o più esattamente: l'abbraccio della vegetazione che sgretola i palazzi e della sabbia che seppellisce i templi e gli anfiteatri - è tanto antico quanto la storia dell'uomo. Chi dice storia dice rovine e, ovviamente, meditazione di fronte alle rovine. Ciò che è stato detto meno è che le parole di questa meditazione, e la meditazione stessa, sono anch'esse storia e sono destinate a soffrire una sorte identica a quella degli edifici che ispirano lamenti e riflessioni: cadere e confondersi con la polvere.

E allo stesso modo: quasi sempre dimentichiamo che la natura, sebbene ci appaia eterna e inalterabile, nemmeno sfugge alla storia: l'universo ebbe un principio e avrà una fine. Che cosa sono gli astri e i pianeti, gli atomi e le loro particelle, se non fossili dello spazio-tempo dell'inizio? L'idea di una natura sempre identica a se stessa non è meno illusoria delle eternità dei metafisici.

Una poesia di Leopardi, La Ginestra (La Retama), mirabilmente tradotta da Unamuno [N.d.T: 1907], esprime con concentrata violenza, come se le sue strofe fossero lava raffreddata, il doppio e mortale movimento della natura e della storia: la prima divora la seconda solamente per, un istante dopo, divorare se stessa. Di fronte al Vesuvio e ai suoi poteri di annichilimento, la storia umana - e precisamente la più illustre tra tutte: l'antichità greco-romana - appare in tutta la sua inerme e irrisoria fragilità:

"E dal deserto foro / Diritto infra le file / Dei mozzi colonnati il peregrino / Lunge contempla il bipartito giogo / E la cresta fumante, / Che alla sparsa ruina ancor minaccia. / E nell'orror della secreta notte / Per li vacui teatri, / Per li templi deformi e per le rotte / Case, ove i parti il pipistrello asconde, / Come sinistra face / Che per vòti palagi atra s'aggiri, / Corre il baglior della funerea lava, / Che di lontan per l'ombre / Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. / Così, dell'uomo ignara e dell'etadi / Ch'ei chiama antiche, [...], / Sta natura ognor verde, anzi procede / Per sì lungo cammino / Che sembra star. Caggiono i regni intanto, / Passan genti e linguaggi: ella nol vede: / E l'uom d'eternità s'arroga il vanto";

["a través de las filas / de truncadas columnas / el peregrino desde el yermo foro / lejos contempla las gemelas cumbres / y la cresta humeante / que aún amenaza a la esparcida ruina. / Y en lo horror de la secreta noche, / por lo deformes templos, por lo circos vacíos / corre el fulgor de la funérea lava / che enrojece a las sombras a lo lejos / y tiñ los lugares del contorno. / así, ignara del hombre e de los siglos / que él llama antiguos..., / Naturaleza, verde siempre, marcha / por tan largo camino / que inmóvil nos parece. El tiempo imperios en su sueño ahoga, / gentes e idiomas pasan; no los ve ella / y el hombre eternidad vano se arroga"]

Il trionfo della natura - il suo simbolo è la ginestra che copre valli e piani della regione di Napoli - è anch'esso illusorio. Il cerchio e il suo perfetto girare, immagine dell'eterna perfezione che, attraverso il movimento, genera se stessa e così esprime l'identità dell'essere, sempre coincidendo con se stesso, è un'astrazione o, per meglio dire, una finzione. La natura, come tutto in questo mondo, dalle galassie ai sistemi solari agli uomini, ha un inizio e una fine:

Il Vesuvio

"E tu, lenta ginestra, / Che di selve odorate / Queste campagne dispogliate adorni, / Anche tu presto alla crudel possanza / Soccomberai del sotterraneo foco, / Che ritornando al loco / Già noto, stenderà l'avaro lembo / Su tue molli foreste. E piegherai / Sotto il fascio mortal non renitente / Il tuo capo innocente";

[Y tú, lenta retama / que adornas estos campos desolados, / también tú pronto a la cruel potencia / sucumbirás del sotteraño fuego / que al lugar conocido retornando / dobres tus tiernas matas / su avaro borde extenderá. Rendida / al mortal peso, inclinarás entonces / tu inocente cabeza]

Linee splendide che uniscono alla misura e oggettività classica la melanconia romantica e che, per un lettore di poesia spagnola moderna, evocano immediatamente certi poemi di Cernuda (dovette aver letto Leopardi con la stessa attenzione con la quale lesse Unamuno). La conclusione della poesia è sorprendente. Nutrito di Lucrezio e degli stoici, Leopardi afferma, con una certa stravaganza, la superiorità morale della ginestra, cioè, della natura sugli uomini:

Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1898)

"Ma più saggia, ma tanto / Meno inferma dell'uom, quanto le frali / Tue stirpi non credesti / O dal fato o da te fatte immortali"

["Eres más sabia y sana / que el hombre, en quanto tú nunca has pensado / que inmortales tus tallos / se hayan hecho por ti o por el lado"]

Le espressioni di Leopardi sono più energiche e più nere di quelle di Unamuno: la ginestra non è "más sana" ma "meno inferma" dell'uomo. L'infermità umana è morale e consiste nella folle credenza nell'immortalità. Ma al di là della sua esagerazione romantica, il pessimismo del poeta italiano evoca preoccupazioni che sono famigliari agli uomini di questa fine di secolo: qual è il luogo della specie umana nella natura? Dall'apparizione dei primi organismi animali sulla terra, le cellule non fanno altro se non riprodursi e morire. In questo ciclo di duplicazione e estinzione, dice il biologo Jacob, consiste tutto il suo programma vitale. Ho detto: riprodursi e morire; avrei dovuto dire: morire per riprodursi. Però c'è un'eccezione: l'uomo. È l'unico animale che si ribella contro la morte. La sua ribellione si chiama cultura, storia: fare cose e pensare pensieri che gli sopravvivano. O la storia non è se non un'altra maniera di morire per riprodursi? Platone, Shakespeare e Newton servirono lo stesso padrone che, dal principio della vita servono le cellule, le amebe e gli infusori: la morte?

Trad it. di Octavio Paz, La Ginestra, in Id., Sombras de Obras. Arte y literatura [1983], Barcelona, Seix Barral, 1996, pp. 249-252

 

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