"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Tommaso Iori
(4 giugno 2012) "Storie di vite" è il racconto di una serie di incontri: alcuni ormai sedimentati in amicizia, altri recenti e tutti da approfondire, altri ancora in attesa di compiersi. "Storie di vite" è a sua volta un incontro: non facile, come tutte le "prime volte", ma inevitabilmente coinvolgente.
Venerdì 1 giugno, tra i fiori e le piante di Maso Pez, erano molte infatti le persone che non si erano mai conosciute prima: di certo non conoscevano molti volti i nostri amici moravi, i vignaioli Bogdan Trojak, Lubosz e Jaroslav Osicka e il traduttore Zdenek Vrbik, arrivati per l'occasione dalla repubblica Ceca. E' da loro, da Bogdan in particolare, che tutto è cominciato, ormai diversi anni fa: percorrendo in bicicletta, da sud a nord, i territori un tempo parte dello stesso stato multinazionale, ci siamo imbattuti in uno strano gruppo di vignaioli - gli Autentisti - che ci hanno offerto un racconto originale ed eccentrico della terra morava.
Ci hanno parlato di agricoltura sostenibile, di rifiuto della chimica, di equilibrio naturale e fertilità del suolo, di pratiche di cantina antiche e dimenticate. Quando siamo tornati in Trentino, abbiamo cercato uomini e donne che raccontassero la terra con parole simili, che sapessero leggere la storia del territorio e aggiungerne ogni anno una pagina nuova. Ne abbiamo conosciuti molti, ed alcuni ci hanno onorato della loro presenza venerdì: i vignaioli Mario Zambarda di Pravis, Norbert Blasbichler di Radoar, Devis e Tiziano Cobelli, Lorenzo Cesconi, il contadino e gestore di agriturismo Ciro Devigili, gli agricoltori Dario Forti e Mara Baldo, l'"archeologo delle vigne" Gianpaolo Girardi di Proposta Vini, il direttore dell'unità di agricoltura biologica di San Michele Enzo Mescalchin, la comunicatrice del vino buono e autentico Laura Sbalchiero, i giornalisti di Porthos Matteo e Riccardo - venuti appositamente da Roma, riempiendoci di orgoglio -, Michele Nardelli e lo "staff" del Forum della Pace, Federico, Anna e Francesco, veri organizzatori dell'incontro, e tanti altri amici che non hanno fatto mancare il loro contributo.
Un ringraziamento in particolare a Sebastiano di Progetto '92, la cooperativa che gestisce Maso Pez, il centro di recupero sociale e inserimento lavorativo di minori e giovani che ha ospitato il nostro incontro: lo ringraziamo perché ci ha insegnato che le buone pratiche nei campi non sono solo tecnica agronomica, ma sono soprattutto uno strumento fortissimo per costruire buone relazioni umane e sociali.
E' stata la voglia di porci insieme delle domande, non certo la presunzione di mettere nero su bianco delle risposte, che ci ha fatto organizzare questo piccolo momento di confronto. Alla base, la consapevolezza che è importante guardare sempre al di là dei confini, cercando relazioni e scambi culturali con le più diverse esperienze: di fronte ai processi di globalizzazione, è bene cercare nel "locale" la sfera privilegiata del proprio agire, ma è forse ancora più importante tentare sempre connessioni con i saperi, le culture e le competenze sparse in ogni angolo del mondo.
Il rischio di chiudersi in uno sterile localismo, autoreferenziale ed egoista, è sempre dietro l'angolo, quando si discute di identità territoriali. Vedere quindi, seduti in un simbolico cerchio, agricoltori e vignaioli di regioni "così lontane, così vicine", è stato significativo e di buon auspicio: discutendo di sostenibilità, di quel "limite" che è al centro delle riflessioni del Forum per la Pace, abbiamo capito che questo fattore non può essere disgiunto dall'autenticità territoriale e dalla conoscenza della storia di un luogo. L'uso indiscriminato della chimica non è solo dannoso per l'ambiente, infatti, ma è nemico della qualità e dell'espressività di un territorio, perché impedisce alla vigna di trasmettere appieno le caratteristiche uniche di quella combinazione di suolo, clima e uomo che altrove definiscono terroir.
Chi il vino lo fa ci ha raccontato di quanto sia importante ricercare l'equilibrio nel vigneto e ridurre al minimo gli interventi e le sofisticazioni in cantina, perché "la chimica è un alibi delle scarse competenze", usando le parole di Jaroslav Osicka; chi il vino lo vende ha sottolineato l'importanza - e la difficoltà - di comunicare un territorio e la sua tradizione, non solo il nome di un vitigno; chi al vino guarda come ad uno straordinario vettore di cultura, ha condiviso un'esperienza di cooperazione e solidarietà tra popoli, attraverso la riscoperta del più famoso dei vini, quello biblico della parabola di Cana. In conclusione, abbiamo ascoltato le parole della terra - e di chi la coltiva - attraverso un buon bicchiere di vino, cercando di assaporare e comprendere, prima di ogni altra cosa, il descrittore più importante e troppo spesso bistrattato dai degustatori: la passione, che fa sì che, dopo migliaia di anni, si guardi ancora alla terra con rispetto e si dedichi ad essa lavoro e fatica.
Probabilmente non siamo giunti a risposte definitive e chiare, ma di certo abbiamo acceso l'interesse a proseguire nella ricerca, senza fare troppo caso ai confini ancora tracciati sulle mappe d'Europa. Vignaioli senza frontiere, come auspicato durante il dibattito: per il momento, con tenace pazienza, ci siamo limitati a superarne alcune, spianando la strana ad un lavoro che è ancora tutto da fare.
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