"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Partecipazione e democrazia

Montecitorio

di Ugo Morelli

(Editoriale apparso sul Corriere del Trentino il 13 luglio 2012)

La distanza tra cittadi­ni e potere e la crisi , dei processi parteci­pativi sono tra i feno­meni più problematici del nostro tempo. Confrontar­si su questi temi, che inte­ressano anche i livelli loca­li, risulta ai più persino no­ioso. É però uno degli atti più necessari, essendo ve­ro tra l'altro che gli intellet­tuali esprimono, nella mag­gior parte dei casi, un silen­zio assordante 0 formulet­te appaganti quanto sopori­fere come la liquidità 0 la celebrazione dell'incertez­za.

Circa quarant'anni fa, grazie alla passione educativa di due grandi maestri, Achille Ardigò e Augusto Palmonari, ho potuto stu­diare due libri: La crisi della razionalità nel capitali­smo maturo, di Jurgen Habermas, e Pragmatica della comunicazione umana, di Paul Watzlawick e colleghi. Il confronto serrato in que­gli anni di studio, quindi, era proprio sulla crisi dei processi decisionali e parte­cipativi da un lato, e sui vin­coli nonché le possibilità della comunicazione uma­na, dall'altro. Si coglieva con evidenza fin da allora l'insieme dei problemi che il direttore di questo gior­nale e Michele Nardelli han­no posto nei giorni scorsi.

Non funzionava più la decisione politica sulla ba­se della razionalità delle scelte. Ci si rendeva conto che a determinare le prefe­renze intervenivano altri fattori; la loro complessità, inoltre, metteva in discus­sione i tradizionali criteri della delega e della rappre­sentanza. I conflitti sociali mostravano l' esigenza di darsi una voce da parte di nuovi soggetti. Quei sogget­ti mostravano linguaggi inediti e cominciava a cre­arsi un diaframma, che sa­rebbe divenuto un muro, tra le dinamiche vive delle esperienze individuali 0 collettive e la politica inte­sa come organizzazione delle forme amministrati­ve e di gestione del potere. Tali problemi si sono ap­profonditi, specializzati, moltiplicati, anche in ragio­ne delle rivoluzioni econo­miche, culturali e planeta­rie intervenute negli ultimi vent'anni. La loro natura è però la stessa.

Chi amministra la cosa pubblica, chi esercita il po­tere, ha risposto con il marketing della politica e con la specializzazione nei meccanismi che generano consenso. Ci fanno perciò difetto i rapporti chiari, concreti, fra le parole e le cose. Tutto ciò incide pe­santemente in quella che é la vera e propria vena giu­gulare della democrazia: la partecipazione. Gli ostacoli e le opportunità del prende­re parte dipendono da tan­te cose ma, in particolare, dal fatto che ognuno di noi, quando comunica con un altro, può ottenere tre ti­pi di esiti: l'accordo, il di­saccordo 0 l'indifferenza. Se ottiene accordo 0 disac­cordo, la comunicazione sa­rà efficace e genererà parte­cipazione. Se la risposta é l'indifferenza non vi sono le condizioni per la partecipazione.

La responsabilità princi­pale è di chi confonde il marketing e l'informazione unidirezionale con la parte­cipazione. Né si può dire che ciò avvenga in maniera disinteressata. Il confronto costa: l' elaborazione dei punti di vista differenti ri­chiede impegno. e disposi­zione a cambiare idea. Un progetto politico e di gover­no all'altezza dei nostri tem­pi dovrebbe partire, forse, dal porre al centro la ricer­ca e la costituzione inedita dei processi partecipativi.

 

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