"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(20 ottobre 2012) Il vicepresidente Alberto Pacher, con questa lettera, annuncia la sua decisione di non candidare alle elezioni provinciali e regionali del prossimo anno.
Cara amica, caro amico
domani gli organi di informazione locali riporteranno la notizia della mia decisione di non candidare alle prossime elezioni regionali. Si tratta di una decisione sofferta, maturata negli ultimi mesi, ma oggi acquisita. Si tratta, ancora, di una scelta allo stesso tempo personale e politica, o meglio di una scelta personale che trae origine e ragioni da considerazioni e convinzioni politiche sul nostro Partito e sulla fase politica che stiamo vivendo.
Per molti anni ho avuto, ed ho tutt'ora, il privilegio di poter rappresentare - in Comune a Trento prima, in Giunta Provinciale ora - le aspettative e il sentire di molte persone che con la loro fiducia mi hanno attribuito questo compito. A questo mandato ho sempre cercato di corrispondere al meglio delle mie possibilità, consapevole dei limiti propri della azione politica ed, ancor di più, dei miei limiti personali ma anche consapevole della grande responsabilità che questa fiducia comportava.
Non posso rivolgermi direttamente a tutti coloro che in questi anni mi hanno onorato della loro fiducia e del loro consenso, posso però rivolgermi direttamente a voi, che con me avete condiviso e condividete un impegno diretto nella vita del nostro Partito per motivare la mia decisone in maniera diretta, senza la mediazione dei canali dell'informazione pubblica. Lo devo a voi, al nostro Partito, per tutto ciò che avete fatto per me.
Vedete, sin dal 1990, quando per la prima volta fui candidato alle elezioni Comunali di Trento, la mia piccola vicenda personale si incontrò, e trasse le sue motivazioni originarie, con una vicenda ben più grande di trasformazione della politica nel nostro Paese. Era da poco crollato il muro di Berlino e il Pci aveva avviato, non senza qualche passaggio traumatico, una fase di trasformazione che di li a poco avrebbe portato alla
nascita del PDS: non si trattava di una semplice modifica nel nome, si trattava di una vera fase di trasformazione che aveva, di questo ero convinto, la possibilità di accompagnare il Paese verso una fase nuova, di superamento di un sostanziale blocco della dialettica politica nazionale derivante anche dalla proiezione interna delle fratture internazionali, di superare le rigidità e le compartimentazioni politiche tipiche di un passato che, come spesso accade qui da noi, sembrava non dover passare mai. Insomma, decisi di accettare la proposta di candidare in Comune proprio per cercare di dare il mio piccolo contributo a questo processo che mi sembrava pieno di possibilità e di speranze. Si apriva una fase nuova, una nuova stagione, e mi piaceva l'idea
di esserne, nel mio piccolo, parte.
E poi venne la stagione dell' Ulivo, una nuova grande stagione di apertura e di pensiero politico inclusivo, in cui ognuno di noi aveva la sensazione e la convinzione di essere parte di un processo di forte innovazione dell'assetto politico del Paese, di possibile fecondo incontro tra culture politiche e tra sensibilità fino a pochi anni - o mesi - prima divise da barriere che poggiavano su categorie politiche ormai superate, del tutto avulse dai profondi e veloci processi di cambiamento che interessavano l'intera società italiana.
Ancora, un disegno riformista di superamento delle vecchie compartimentazioni, capace di portare il Paese oltre quella frammentazione politica (la quale è sempre allo stesso tempo causa ed effetto di una frammentazione sociale) che aveva caratterizzato una lunga fase della sua storia. A me piaceva molto l'idea che la politica potesse assumersi il difficile compito di indirizzare il Paese verso una democrazia bipolare, matura, in cui vi fosse la capacità di elaborare proposte "a vocazione maggioritaria", per dirla con Veltroni. Perché credevo, e credo tutt'ora, che una politica a vocazione maggioritaria possa avere un effetto di stimolo per fare crescere nel Paese un senso di cittadinanza, individuale e collettiva "a vocazione maggioritaria", in cui ciascuno possa cercare e trovare il senso della sua appartenenza sociale in un quadro di comune appartenenza e responsabilità, di mediazione tra il proprio interesse individuale o di gruppo e l'interesse collettivo. Insomma, una politica capace di sintesi alte, capace di superare una frammentazione a volte, per alcuni suoi protagonisti, confinante con l'autoreferenzialità.
E poi, tra mille ed una difficoltà - anche e soprattutto interne - venne il Partito Democratico con la sua, appunto, vocazione maggioritaria che solo una svalutante ed intenzionalmente liquidatoria traduzione in volgare volle a volte fare apparire come un
"bastiamo noi da soli".
Non era così, e chiunque abbia vissuto senza pregiudizi l'incontro fondativo del Lingotto - che considero uno dei momenti più alti nella politica di questi anni - ne era ed è consapevole. Il PD si poneva come l'erede ed al tempo stesso la naturale evoluzione del principio fondativo dell'esperienza dell'Ulivo, delle sue speranze di
inclusione e di allargamento dell'angolo visuale della politica riformista nel nostro Paese.
Per queste ragioni e con queste convinzioni mi dedicai con tutto l'impegno di cui ero capace per favorire la nascita del Partito democratico anche in Trentino, proprio nelle settimane immediatamente successive alla sconfitta elettorale del 2008. Fu un impegno molto intenso e coinvolgente, incontrammo centinaia e centinaia di persone che guardavano con curiosità e qualche attesa a questa nuova creatura politica. Ricordo il gradevole stupore provato quando mi resi conto che della prima Assemblea provinciale del neonato Pd del Trentino conoscevo meno della metà degli eletti! Ricordo anche l'emozione di fronte ad un risultato elettorale tanto importante quanto,
diciamocelo, non del tutto atteso. Insomma, una bella stagione di speranze individuali e collettive.
Poi le cose andarono come andarono, tanto a livello nazionale che locale.
Ora, a me pare che nel dibattito - ed uso un eufemismo - che sta attraversando il nostro Partito vi sia un vuoto di cui non riesco a trovare le ragioni.
Il PD è nato, con la sua vocazione maggioritaria, per rappresentare la forma organizzata di un pensiero politico collettivo che guarda e spera in un superamento delle tradizionali geografie politiche, che assume su di sé la rappresentanza di un quadro sociale la cui a volte drammatica complessità dovrebbe stimolare la voglia ed il coraggio di navigare in mare aperto.
Ora, in questi mesi l'attenzione e, forse, il pensiero politico si sono concentrati, naturalmente, sulla vicenda primarie, grazie anche ad una sbalorditiva sequenza di sottovalutazioni. Come si fa, accidenti, a pensare che delle primarie nelle quali concorre anche il segretario del Partito non si trasformino in una sorta di congresso? Come si fa a concentrarsi su delle primarie senza sapere quale sarà la coalizione di governo? Primarie di coalizione? Quale coalizione, semmai primarie di una sorta di
sub-coalizione di area, le primarie della cosiddetta area dei progressisti, area nella quale sembrano convivere visioni molto diverse, in alcuni caso del tutto opposte. Non credo si sia mai visto, in altre primarie, una simile eterogeneità di posizioni. Come
possono confrontarsi, in elezioni primarie di una stessa area, le posizioni di chi dice mai con Monti e con Casini con quelle di chi ha lavorato e lavora a sostegno del governo Monti e nella prospettiva di una alleanza con l'area moderata di centro? Come possono delle primarie non voler essere un congresso quando si misurano posizioni così diverse? E soprattutto, come farà il segretario Bersani, se dovesse essere sconfitto, a rappresentare quel partito e quegli elettori che gli hanno negato la fiducia?
Ma, almeno per me, la vera domanda è questa. Quando è stato deciso, e da chi, che il nostro Partito doveva lasciare la propria vocazione maggioritaria, la propria vocazione inclusiva per dedicarsi all'area di sinistra? Chi ha deciso e quando è stato deciso che a noi sarebbe toccato il compito di cercare un accordo con Sel ed altri, per cosi dire,
minori mentre ad altri (Casini, Montezemolo, il centro degasperiano a cui sta lavorando Dellai?) sarebbe spettato il compito di rappresentare la parte moderata dell'elettorato? Nessuno lo ha deciso, temo.
Credo si sia trattato di un progressivo arretramento, non deciso ne tanto meno deliberato da un congresso, che ha di fatto alterato - senza dirlo e senza dirselo - la stessa "ragione sociale" del nostro partito, il Pd. Questo lo si è visto, plasticamente, anche in qualche evento recente: come è possibile, tanto per dirne una, aver rinunciato ad avere come interlocutore diretto una realtà come le ACLI, le cui fonti di ispirazione sociale dovrebbero trovare profonde assonanze con quelle del PD?
In un quadro del genere, in una realtà che si è trasformata senza che vi fosse una qualche intelligenza collettiva a guidare - o almeno a decidere - questa trasformazione, faccio davvero fatica a vedere in queste primarie un senso politico di sistema, mi sembrano un passaggio quasi surreale rispetto al quale non riesco ad appassionarmi e, forse proprio per questo, a "schierarmi".
Non è questo l'esito cui speravo, per il quale ho investito tante energie e speranze. Questo di cui stiamo discutendo in questi mesi, quello nel quale stiamo vivendo la nostra stagione politica è un partito diverso da quella impostazione originaria.
Badate bene, non sto dicendo che quello di oggi sia peggiore o migliore; è altro. Mi pare si sia persa la voglia di navigare in mare aperto, di costruire e vivere un dibattito che sappia guardare lontano. Oggi è l'attualità, la cronaca, l'incalzare dei media e delle loro tambureggianti (ed un po' bulimiche) necessità di notizie e polemiche "di giornata" ad orientare il dibattito ed il pensiero interno alla politica ed anche al nostro partito.
Io sono convinto che la politica non possa vivere solo di attualità e di cronaca, sarebbe come mangiare sempre ad un fast food; tante calorie ma di bassa qualità, e prima o poi l'intero metabolismo ne risente.
Ora, è vero che il bipolarismo italiano di questi due decenni è stato pesantemente condizionato dalla presenza lacerante di Berlusconi che ha avuto un effetto fortemente depressivo sul tono del dibattito politico ed ha favorito il consolidarsi di una sorta di bipolarismo degli estremi, dei pro o contro, degli " anti ...", della politica basata sui sondaggi, sull'emotività, sul breve o brevissimo respiro. Abbiamo passato mesi a discutere di festini e di escort nel pieno della fase montante di una crisi senza precedenti!! La drammatica crisi di leadership che la destra italiana sta evidenziando in questi mesi è figlia diretta di questa impostazione.
Un bipolarismo gracile, quindi, minato dalla presenza di una subcultura politica che non aveva ne ha eguali in Europa. ma che rappresentava un tentativo di uscire da un sistema di frammentazione politica che aveva caratterizzato la fase politica precedente.
Ora il quadro è cambiato, al di là delle dichiarazioni di principio. Nel momento in cui il più grande partito d'Italia decide (ammesso che l'abbia fatto) o comunque accetta di confinare il proprio campo di azione ad un segmento del campo politico, io temo che si pongano le basi, o comunque le condizioni di fondo, per un ritorno ad una logica di tipo proporzionalistico. Logica, lo sappiamo, che raccoglie diffuse nostalgie nel panorama politico nazionale e qualche nostalgia anche nel nostro partito, magari dietro lo schermo di un qualche integralismo valoriale o, peggio, procedurale. La ricerca della mediazione e della sintesi coalizionale sono sempre molto più faticose, ed a volte nell'immediato meno gratificanti, rispetto alla affermazione "forte e coerente" delle proprie idee.
La mia convinzione, quindi, è che il quadro politico stia cambiando nei fondamentali, che sia finita una stagione. Forse non in via definitiva, forse non per sempre: in questi anni ho incontrato in ogni parte del Trentino tante persone, tanti giovani amministratori, nei cui pensare e nel cui agire ho visto vivere lo spirito "originario" del PD, o almeno quello verso il quale provo maggiore sintonia. Sono risorse importanti, il cui operato è spesso fuori dai coni di luce dei media, che rappresentano una delle componenti "buone" della politica. Spero davvero che il PD del Trentino riesca ad accompagnarli nel loro processo di crescita, a valorizzarli.
Anche per me, come per ciascuno di noi, l'adesione ad una fase di presenza politica richiede una certa assonanza tra le caratteristiche del progetto a cui si aderisce e le caratteristiche personali. Ho bisogno di sentirmi "a casa" in un progetto politico generale, un progetto in cui inserire la mia esperienza ed il mio contributo. Io sono nato e vissuto politicamente in questa stagione "inclusiva" perché questa era coerente con le mie convinzioni, il mio modo di intendere l'impegno politico, il mio modo di essere.
Non sono, strutturalmente, una persona buona per tutte le stagioni. In un quadro così diverso non credo sarei in grado di dare il meglio di me come ho cercato di fare in tutti questi anni. E, d'altra parte, non credo sia possibile isolare il proprio impegno amministrativo da un quadro ed un progetto politico più grande di riferimento, soprattutto se si fosse chiamati a ricoprire ruoli di leadership. E non potrei e non voglio, vista la mia storia, aderire ad altre proposte politiche; anche perché non vedo nel panorama politico attuale alcun partito migliore del PD, nonostante anche all'interno del nostro partito in questi anni mi sia trovato ad avere a che fare con comportamenti e logiche politiche, certamente non predominanti ma comunque presenti, a cui non ero abituato ed a cui non intendo abituarmi. L'incontro con questi comportamenti e queste logiche, e soprattutto con i loro interpreti ha consolidato in me la convinzione che certe cose sono del tutto a-generazionali, non dipendono per nulla dall'"anzianità di servizio" ne, men che meno, dall'anzianità tout court (il che mi fa temere che magari non sarà difficilissimo "rottamare" qualche veterano, ma che sarà davvero difficile eliminare questi comportamenti). Sono convinto, infine, che lo scivolamento verso un quadro politico di tipo proporzionale (quantomeno a livello di "cultura politica") non potrà che alimentare e rinforzare queste modalità dell'agire
politico.
Dunque, per tutti questi motivi, ho deciso di interrompere alla fine di questa legislatura il mio impegno diretto in politica, ed ho deciso di darne comunicazione adesso quando l'iter di avvicinamento alla prossima scadenza elettorale è appena agli inizi, così da evitare il consolidarsi di aspettative attorno alla mia persona. In fondo ho sempre pensato che l'impegno attivo nelle istituzioni, così come tutte le cose belle ed importanti, debba avere un inizio ed una fine, ed è un grande privilegio poter scegliere quando. Così come è stato un grande privilegio il poter condividere con tante e tanti di voi una stagione di speranze e di impegno credo irripetibile, certamente unica ed importante per la mia vita.
Naturalmente continuerò il mio impegno nelle istituzioni e nel mio e nostro Partito con immutato impegno nei mesi che ci separano dalla fine della legislatura e quindi con tante e tanti di voi avremo ancora molte occasioni di collaborazione.
Grazie per il tempo che hai voluto dedicare a queste mie considerazioni.
Trento, ottobre 2012
Alberto Pacher
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