«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani». "Manifesto di Ventotene"
(16 novembre 2012) Breve e fragile tregua mentre nella Striscia arriva una delegazione egiziana guidata dal primo ministro Qandil. Nella notte le forze israeliane colpiscono 130 obiettivi a Gaza, il bilancio sale a 21 morti e 235 feriti palestinesi. Lanciati anche 11 razzi verso Israele, che richiama 16mila riservisti e si prepara a un'imminente invasione terrestre
di Michele Giorgio (www.ilmanifesto.it)
L'arrivo oggi a Gaza di una delegazione ad alto livello dal Cairo, guidata dal premier Hisham Qandil, segna il coinvolgimento aperto, ufficiale, dei Fratelli musulmani egiziani nelle vicende di questo lembo di terra palestinese, da giovedì sotto un massiccio attacco militare israeliano. Non che i nuovi dominatori della scena politica egiziana non avessero mostrato interesse verso le sorti di Gaza. Il presidente Mohammed Morsy ha promesso a più riprese di voler contribuire a migliorare radicalmente la condizione degli abitanti della Striscia. E si sono fatti più stretti i rapporti con i leader di Hamas che hanno avuto un accesso libero e frequente nei palazzi che contano al Cairo. Morsi però si è guardato dal mettere in discussione gli Accordi di Camp David con Israele, contrariamente agli slogan scanditi dal suo movimento durante la campagna elettorale. E quando si è trattato di rinnovare le comunicazioni con l'esercito israeliano per combattere i salafiti armati che agiscono nel Sinai, il presidente egiziano ha avuto poche esitazioni e ha dato all'esercito l'ordine di mantenere il coordinamento con le forze armate dello Stato ebraico.
L'attacco israeliano a Gaza ha segnato un punto di svolta per la politica estera dei Fratelli Musulmani. «L'Egitto è cambiato, ora è libero. Non consentiremo che i palestinesi siano soggetti alle aggressioni israeliane», ha scritto ieri Essam al Arian, il numero due del Partito della Libertà e della Giustizia, l'ala politica dei FM. Anche Mustafa Kamel al Sayyed, docente di scienze politiche all'Università del Cairo ed analista, è convinto che la politica estera egiziana stia cambiando. «Siamo di fronte ad un mutamento vero - spiega al Sayyed - la rapidità della risposta egiziana (alle azioni israeliane) è molto diversa dal passato, quando al potere c'era Hosni Mubarak. A quel tempo il Cairo attendeva dei giorni prima di prendere posizione su ciò che accadeva in Palestina». A sostegno della sua tesi l'analista sottolinea la decisione di Morsi di richiamare l'ambasciatore d'Egitto a Tel Aviv e di chiedere al ministero degli esteri di convocare l'ambasciatore israeliano al Cairo. Non solo. Le autorità egiziane hanno aperto il valico di Rafah con la Striscia di Gaza , per facilitare l'accesso di eventuali feriti trasferiti all'ospedale pubblico di el Arish.
Tuttavia, aggiunge al Sayyed, è improbabile che l'Egitto dei Fratelli musulmani vada allo scontro diplomatico con Israele. Scegliendo, ad esempio, l'apertura di Rafah anche al traffico commerciale, rompendo così gli accordi sulla gestione del valico firmati dall'Egitto nel 2005 con Israele, Stati Uniti ed Europa, dopo il ritiro di soldati e coloni da Gaza ordinato dall'ex premier israeliano Ariel Sharon. Morsi, dicono anche altri esperti egiziani, sa che non può superare certe linee che lo porterebbero a relazioni difficili con l'Amministrazione americana, in contrasto con la linea di dialogo con gli Usa scelta dai Fratelli musulmani da quando sono andati al potere. In definitiva dal Cairo arriva una nuova politica verso Gaza, ma fino ad un certo punto.
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