"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(3 gennaio 2013) "Almeno 60 mila morti in Siria dall'inizio del conflitto secondo dati delle Nazioni Unite. Lo ha reso noto l'Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, citando un rapporto delle Nazioni Unite. Le persone uccise in Siria dal 15 marzo 2011 al 30 novembre 2012 sono state 59.648".
Fin qui la notizia Ansa. Quello che sta accadendo in Siria, aggiungo io, non avviene affatto nell'indifferenza internazionale, perché su questo paese strategico nel contesto mediorientale si concentrano grandi interessi, tanto da parte delle principali potenze che dei paesi della regione.
L'indifferenza - questa sì - riguarda semmai le vittime civili dei bombardamenti nelle città, quasi fossero comparse di una partita che si svoge oltre le loro vite, in una guerra avversa alla primavera, alla partecipazione, al pensiero... e così tragicamente sfiorita.
La nonviolenza che l'aveva caratterizzata ha lasciato il posto alle armi, quelle dell'esercito e della polizia di un regime dispotico e quelle di una resistenza che con la primavera di Damasco, laica e democratica, hanno ben poco a che fare.
Al punto in cui siamo è davvero difficile immaginare una soluzione diplomatica. La Siria è un paese troppo grande e strategico per essere messo sotto tutela da parte delle potenze della regione. Così come non appare almeno per il momento ipotizzabile (oltre che denso di incognite e di conseguenze imprevedibili) un intervento armato com'è accaduto in Libia. E allora?
Quello che sta accadendo nel mondo arabo va letto con attenzione. Lo sgretolamento della Siria rappresenta a mio avviso la punta di un iceberg che investe la fine degli stati postcoloniali, configurandosi come l'avvio di un rimescolamento di confini e appartenenze che sembra ridisegnare l'assetto della regione.
Questo può avvenire all'insegna degli interessi internazionali, del rapporto conflittuale fra sciismo e sunnismo, o delle due cose intrecciate. Il tutto avendo sullo sfondo la questione iraniana e l'ipotizzato intervento militare mai del tutto accantonato. Oppure ancora, ed era l'essenza democratica della primavera, attraverso un rinascimento arabo.
Una terza via che dovrebbe fondarsi sul superamento del vittimismo, oltre quella che Samir Kassir definiva "l'infelicità araba", su una nuova cultura capace di affrontare il rapporto fra modernità e tradizione, sulla riscoperta del valore dell'autonomia, ovvero un'idea diversa dell'organizzazione sociale capace di recuperare le tradizioni di autogoverno (delle culture e delle risorse locali). Inaugurando a partire da qui quel nuovo rapporto con il Mediterraneo e con l'Occidente di cui aveva parlato Barack Obama nel suo discorso all'Università del Cairo nella primavera del 2009.
Difficile dire come finirà in Siria. Se la scia di morte continuerà ancora per molto. Di sicuro c'è che la rinascita araba non passa attraverso la guerra. (m.n.)
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