"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il poema dei monti naviganti

Un\'immagine dello spettacolo teatrale

sabato, 12 gennaio 2013

un'idea di Roberta Biagiarelli dal libro La leggenda dei monti naviganti di Paolo Rumiz con Roberta Biagiarelli e Sandro Fabiani, regia di Alessandro Marinuzzi

Ero partito per fuggire dal mondo, e invece ho finito per trovare un mondo: a sorpresa, il viaggio è diventato epifania di un'Italia vitale e segreta. Ne ho scritto con rabbia e meraviglia. Meraviglia per la fiabesca bellezza del paesaggio umano e naturale; rabbia per il potere che lo ignora. Come ogni vascello nel mare grosso, la montagna può essere un insopportabile incubatoio di faide, invidie e chiusure. Ma può anche essere il perfetto luogo rifugio di uomini straordinari, gente capace di opporsi all'insensata monocultura del mondo contemporaneo. Paolo Rumiz

NOTE DI REGIA

Il Poema dei Monti Naviganti nasce da una bella intuizione di Roberta Biagiarelli che ho subito condiviso: il meraviglioso, attento, curioso e intenso percorso fisico e verbale dei viaggi, degli incontri, delle osservazioni, degli articoli e del libro di Paolo Rumiz poteva ancora trovare altre, ulteriori e prospettiche dimensioni, quella del racconto orale e quella di una sintesi scenica che ricreasse, davanti agli spettatori e nelle parole e nei corpi vivi degli attori, quelle migliaia e migliaia di chilometri di paesaggio popolato di figure, compiuti ed elaborati nella parola scritta, da celebrarsi ora come in un grande e giocoso poema epico dei nostri giorni. In scena due attori, Roberta Biagiarelli e Sandro Fabiani, raccontano, interpretano e interagiscono, rappresentando due diversi approcci, almeno in partenza e a volte in alternanza a seconda delle circostanze: coinvolgimento e presa di distanza sdoppiano il personaggio originale dello scrittore e giornalista, trasformandolo per una parte in una scrittrice e giornalista ideatrice del viaggio e per l'altra in un fotografo, "imbarcato" nell'avventura, due atteggiamenti che come luce e ombra creano o rivelano rilievi, contrasti o addolcimenti, rispetto alla natura del paesaggio di montagna, alle strade esaltate dalle curve, e agli incontri, alle modalità e alle aspettative. Da quando ho cominciato, ho sempre visto il lavoro del regista come quello di colui che traccia delle mappe più o meno segrete, più o meno invisibili nello spazio della scena. Mi piace ritrovare ancor di più e svelare in questa occasione questa mia propensione a costruire o ricostruire dei percorsi da abitare e attraversare, quasi fossero delle cacce al tesoro visive e sonore da organizzare prima di tutto per gli attori e con gli altri collaboratori artistici durante le prove, e per gli spettatori una volta che i "Monti naviganti" cominceranno a muoversi. Alessandro Marinuzzi

Quando il cordone ombelicale della bambina si staccherà mettilo per otto giorni appoggiato su una pianta di biancospino, esponilo alle intemperie, lascialo seccare e chiudilo in un pezzo di carta, poi avvolgilo in un panno di lino e riponilo in un cassetto. La bambina da grande avrà fortuna, viaggerà e potrà fare un lavoro legato alle parole... Potrebbe essere l'inizio di una fiaba e invece queste sono le mie radici. Questa usanza è legata al mondo delle tradizioni contadine dei miei nonni. Mia madre, quando il mio ombelico cadde, ha diligentemente eseguito tutta l'operazione. Non so se è per via del destino del mio ombelico, fatto sta che viaggiare ho viaggiato, da piccola dicevo che volevo fare la giornalista e sono finita a fare l'attrice. Con Paolo Rumiz ci siamo incontrati su strade balcaniche, e il mio Appennino assomiglia molto ai Balcani. Sono una donna dell'Appennino d'Oriente, una montanara di mare per dirla con Rumiz.
Il libro "La leggenda dei monti naviganti" e i mondi esplorati da Rumiz mi sono subito piaciuti, mi sono sentita appartenere a quel popolo di giardinieri rimasti a bordo dell'arca. La sua scrittura è stata l'apertura di uno scrigno, lo svelarsi si una materia di lavoro che risuona, l'occasione di approfondire uno sguardo. Ci sono mestieri che si somigliano, vivono ed echeggiano per affinità, si alimentano a distanza arricchendosi reciprocamente. Mi piace pensare che un giornalista scrittore quale è Paolo Rumiz fatica, suda, mangia polvere, macina chilometri, osserva, annota per poi depositare la scrittura nelle pagine di un libro: la vita, le persone incontrate, le storie raccolte. A noi attori spetta il compito e il piacere di staccare le parole dalle pagine di carta per restituire loro gambe, corpi, voci, fisionomie specifiche. Se il vizio di Rumiz è quello di imparare a memoria carte geografiche, noi attori abbiamo la pretesa di farle parlare, nell'ostinata intenzione di salvare questa nazione dalla morte dei luoghi, per riuscire a raccontare con stupore e meraviglia ciò che una volta trovato resta prezioso e perdura.
Roberta Biagiarelli

Sarnonico, teatro comunale

 

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