"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
Non è stata una bella campagna elettorale e probabilmente ci sarebbe stato da stupirsi del contrario. Per tante ragioni ma per una in particolare. Vent'anni di buio hanno lasciato il segno nel corpo sociale, nei compotamenti, nel modo di pensare, nello spaesamento che ne è scaturito, nella solitudine delle persone.
Non è che l'Italia si sia improvvisamente scoperta un paese vulnerabile sotto il profilo culturale e dunque politico. Siamo usciti con fatica dal fascismo, ma ancora oggi - a settant'anni dalla caduta di quel regime - c'è una parte significativa di questo paese che considera Mussolini uno statista che ha semplicemente sbagliato ad allearsi con Hitler.
Il secondo dopoguerra è avvenuto all'insegna di un'idea di sviluppo che ha piegato uno dei paesi più belli del mondo, dimenticandoci dell'unicità dei nostri territori come se le ricchezze storiche ed ambientali, il patrimonio culturale e la creatività della nostra gente, i saperi e le caratteristiche delle regioni italiane... non valessero un accidente.
La stagione forse più entusiasmante che ha prodotto i tratti salienti della civiltà giuridica e sociale di questo paese è stata cancellata nella memoria collettiva e ridotta agli anni di piombo (che degli anni '70 sono stati solo un tragico frammento), dando il là ad una stagione all'insegna dell'individualismo più sfrenato, dell'arricchirsi facile e della politica ridotta a ricerca del consenso.
Così, fra cemento scambiato per progresso, giochi a premi ed altre amenità televisive spacciate per cultura, affari privati trasformati in partiti, questo paese si è consegnato nelle mani di un imbroglione ignorante e volgare. Accompagnato da un apprendista stregone che, fra riti pagani e purezze genetiche, ha interpretato con efficacia le paure e i rancori della postmodernità.
E la sinistra? Finita una storia, ancora fatica a darsi un nuovo pensiero, capace di raccogliere le istanze migliori di quello precedente, ma avendo il coraggio di affrontare senza reticenze le ragioni di una sconfitta storica. Non il trasformismo, ma la capacità di interrogarsi sulle proprie categorie, sul procedere della storia e sulla nonviolenza, sullo sviluppo e sul limite, sullo stato e sull'autogoverno del territorio... solo per fare degli esempi.
Nel frattempo il mondo è diventato un piccolo villaggio abitato da sette miliardi di persone. E se quel che resta del comunismo reale produce ormai ogni cosa in totale dispregio di lavoro e ambiente, l'economia globale ha pensato bene di trasformarsi in un gigantesco casinò dove si scommette su tutto, compresa la fame e la bancarotta degli altri. Un potere finanziario immenso che prima o poi è destinato a scoppiare, lasciando in braghe di tela milioni di persone, quelli che le pensioni le hanno messe nei fondi e quelli che - destinati alla normale precarietà - le pensioni non le avranno mai.
Bisognerebbe fermarsi a scrutare il tempo, pensare ad una grande alleanza della terra contro la finanziarizzazione dell'economa, i programmi di esclusione basati sul diritto naturale (del più forte), la plastificazione dell'immaginario. Ma gli effetti del pensiero unico ancora si fanno sentire, spesso nella forma del "si salvi chi può", certamente più facile ma che lascia presagire un mondo di tutti contro tutti.
La percezione che siamo in un passaggio cruciale comincia a farsi largo, ma se il pensiero è in difficoltà, figuriamoci la politica. Non parlo solo dei partiti, riguarda la politica in senso lato, i corpi intermedi e la fin troppo citata società civile, ammalata dello stesso "mal di pensiero" (e di potere) dei partiti. Così alla crisi dei corpi collettivi si risponde con la scorciatoia - per altro non nuova - dei salvatori della patria, quella personalizzazione della politica che rappresenta forse il tratto più evidente e pericoloso di questo difficile passaggio di storia nazionale.
"Forse metteremo via Berlusconi, ma non il berlusconismo..." scrivevo nei giorni scorsi. Per uscire dal buio occorre un percorso più lungo, nel quale la politica sia in grado di rimettersi in sintonia con il pensiero e i territori, di dotarsi di occhiali nuovi per leggere il presente da cittadini europei, di cambiare uno schema di gioco che ancora fa perno sugli stati nazione laddove ormai la cifra di ogni problema è sovranazionale e territoriale.
Ma per fare tutto questo abbiamo bisogno di ripristinare un po' di civiltà, di togliere di mezzo gli imbonitori e di non metterci nelle mani degli untori. Il voto al PD e al centrosinistra è semplicemente questo, un voto per permetterci di trovare la strada più giusta.
Poi servirà tanto lo zaino delle terre alte, quanto la topolino amaranto per riconnettersi con i borghi di questo bel paese. Ma a questo ci penseremo dopo lunedì.
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