"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
(21 aprile 2013) Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente della Repubblica. Il voto a larghissima maggioranza dei grandi elettori chiude con una scelta solo qualche giorno fa imprevedibile una delle pagine forse più difficili e delicate di questo paese, tanto è vero che il secondo mandato presidenziale rappresenta un inedito nella storia repubblicana.
Certo. La figura di Giorgio Napolitano non può che rappresentare un elemento di equilibrio in una fase di grande instabilità. Al tempo stesso dobbiamo dirci senza infingimenti che questo passaggio rappresenta la risposta ad una situazione di emergenza e di crisi profonda della politica, non la soluzione.
Potrà, almeno così mi auguro, portare ad un governo di scopo, che duri il tempo necessario per la riforma del sistema elettorale e per mettere in campo le misure urgenti e condivise per tutelare almeno nell'immediato i soggetti più deboli di fronte ad una crisi che, in quanto strutturale, altro non rappresenta se non il nuovo contesto con cui fare i conti nel presente e nel futuro.
Fatto questo la strada maestra non può che essere il ritorno al voto. Perché solo un governo politico e orientato socialmente e culturalmente può provare ad indicare le strade di cambiamento che gli elettori riterranno necessarie attraverso il loro voto. C'è solo da augurarsi una cosa: che in questo lasso di tempo la politica sappia interrogarsi, riprendere contatto con una realtà che da tempo ha smesso di raccontare, cambiare. Scomporsi e ricomporsi, se necessario (e credo che lo sia). Dovremmo augurarci altresì che questo processo di cambiamento avvenga attraverso percorsi partecipativi diffusi, capaci di far corrispondere la politica alla cifra dei problemi, sempre più territoriale e sovranazionale. Quel cambio di schema di gioco di cui abbiamo parlato oggi a Ponte di Valtellina nel convegno sulle "Terre alte" che ha portato in questo grazioso borgo decine di esperienze di un nord non rassegnato allo spaesamento.
Questo cambiamento richiede la ricostruzione di un tessuto di idee e di buone pratiche che non si realizza con la bacchetta magica. Occorre tempo, la messa in campo di relazioni orizzontali, darsi spazi formativi e luoghi di comunicazione inediti. Li potremo trovare dentro e fuori i partiti, a seconda dei contesti. So bene che l'approssimarsi di nuove scadenze elettorali in questo non ci aiuta, ma le macerie di questi giorni ci dicono che non possiamo nemmeno attardarci nelle liturgie. Al contrario dobbiamo sparigliare e dare voce a quelle esperienze e a quei territori della ricerca e della sperimentazione sociale che oggi la politica sorvola.
Ritornare a comprendere quel che accade e a raccontarlo, non è affatto cosa da poco. Il resto mi piacerebbe affidarlo alla fantasia dei luoghi e delle persone che sceglieranno di mettersi in rete.
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