"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Con Mauro ho condiviso vent'anni di impegno nell'Europa di mezzo. Non un impegno fra gli altri, ma qualcosa di profondo, che ha coinvolto le nostre vite, nelle passioni come nelle scelte professionali. Insieme abbiamo dato vita ad esperienze importanti che a loro volta hanno generato pensieri, percorsi e realtà anche di altissimo profilo come ad esempio l'Osservatorio Balcani Caucaso di cui Mauro Cereghini è stato il primo direttore. Un dialogo che non si è mai interrotto, neanche quando Mauro ha deciso di mettere radici nel Tirolo profondo. Ora, a conclusione, di questa esperienza e nel proporre queste riflessioni, vorrei ringraziare Mauro. Il suo punto di vsta è sempre uno stimolo per tutti noi.
Il mio saluto a Trentino con i Balcani
di Mauro Cereghini
Nel lasciare il direttivo dell'Associazione Trentino con i Balcani - erede più recente del cammino avviato quasi vent'anni fa dalle varie esperienze di cooperazione con Prijedor, Kraljevo e Peja/Pec, a cui in forme diverse ho partecipato - mi viene da fare un piccolo bilancio di questo impegno. Necessariamente soggettivo, ad esempio perché sbilanciato sulle vicende kossovare dove più ho operato, e dunque parziale. Ma che volutamente metto su carta e faccio circolare nella speranza contribuisca, insieme a molti altri, a fare da memoria storica di un'esperienza, comunque la si voglia vedere, unica e importante per il Trentino e per le comunità dei Balcani con cui ci siamo rapportati.
Le radici
Ho assistito nella prima metà degli anni novanta agli sforzi dell'allora Casa per la pace verso le vittime della guerra in ex-Jugoslavia, in primis le adozioni a distanza di famiglie profughe a Rijeka-Fiume. Ho visto i Beati i Costruttori di pace organizzare la Marcia dei 500 a Sarajevo e la successiva Mir Sada, sono stato volontario con l'ICS nei campi profughi in Erzegovina e Dalmazia e con la Campagna Kossovo nell'Ambasciata di pace a Pristina. Tutte esperienze che hanno fatto da retroterra culturale al successivo intervento trentino nei dopoguerra balcanici, a partire dai due viaggi paralleli dell'estate 1996, appena finita la guerra in Bosnia, fatti a Prijedor - prima tappa di un cammino ancora in corso - e in Serbia. Viaggi che non per nulla definimmo "incontro al nemico", perché fatti verso le comunità da cui venivano i principali responsabili della guerra. Scelte volutamente politiche, e che attirarono anche critiche, per andare oltre una solidarietà fatta di emergenza e aiuti rivolti solo alle vittime più vicine ed evidenti. Cercando di superare da un lato l'impostazione affarista e tecnocrate della cooperazione tradizionale, e dall'altro lo schierarsi aprioristico di una fetta di pacifismo ancorato ad una visione ideologica del bianco e nero, amici e nemici, che non si sporcava le mani con le contraddizioni del mettersi in mezzo.
Le intuizioni
Ho partecipato nella primavera-estate 1999 ai primi incontri di quello che sarebbe diventato il Tavolo Trentino con il Kossovo, in risposta alla guerra nel frattempo lì esplosa. E ho ritrovato quelle stesse intuizioni allargate però a nuovi partecipanti, oltre il mondo pur ampio della Casa per la pace. Intuizioni che si traducevano anzitutto nell'approccio politico, cioè nella scelta di non pensare alla mera solidarietà degli aiuti, ma di unirla ad un intervento di diplomazia popolare che durasse nel tempo e si rivolgesse ad uno specifico e delimitato territorio. Si è individuata così una delle poche aree a presenza mista - l'enclave serba di Gorazdevac e i villaggi albanesi circostanti, nella Municipalità di Peja/Pec - seppur convincendo a fatica chi non voleva mettere "el cul ne le pedade", citando testualmente un amministratore provinciale del tempo. Altri caratteri innovativi erano la partecipazione diretta della Provincia assieme al volontariato, che creava un mix pubblico-privato inedito anche rispetto al Progetto Prijedor, e la collaborazione tra associazioni di diversa storia, estrazione e competenza. Era nei fatti una sperimentazione di quella che più tardi, con Michele Nardelli, abbiamo chiamato cooperazione di comunità. O di ciò che Silvia Nejrotti ha definito "stare accanto nel tempo e nello spazio". Intuizioni incarnate nelle idee e nel lavoro di tante persone, balcaniche, trentine e non solo, il cui elenco è impossibile da fare ma senza le quali nessun Tavolo sarebbe mai esistito. Una cooperazione fatta di intrecci: intrecci di persone più che di progetti, di parole - la "diplomazia del caffè" - più che di costruzioni.
Le evoluzioni
Sono tornato ad impegnarmi dentro al Tavolo Trentino con il Kossovo nel 2008. Dallo scenario della guerra si era passati alla proclamazione d'indipendenza del paese, e le ferite pur ancora visibili si mescolavano alla ripresa avviata almeno per la maggioranza albanese. Il Tavolo aveva prodotto vari risultati importanti a Peja/Pec - il Centro giovani, le scorte non armate, i progetti agricoli, l'equipe conflitto, il Centro diurno per disabili, la prima idea di turismo locale... - insieme ad altri deludenti o fallimentari. Un bicchiere pieno a metà, come forse è inevitabile dentro una cooperazione che vorrebbe ambire al cambiamento, e che perciò deve accettare le resistenze e gli errori. Allo stesso tempo il Tavolo aveva subito il cambiamento attorno a sé: nuovi interessi e priorità nella società kossovara, una partecipazione di volontari trentini in calo, il progressivo disimpegno istituzionale della Provincia pur in costanza di finanziamenti, il passaggio da tavolo inter-associativo a singola associazione a sé stante. Da tutto ciò l'invito ad un rilancio, per passare da tre distinte esperienze (Prijedor, Kraljevo, Peja/Pec) ad un unico luogo di cooperazione con il sud est Europa. E' l'idea lanciata durante il decennale dall'intervento trentino in Kossovo, e portata oggi finalmente a compimento nell'Associazione Trentino con i Balcani, pur con tanta fatica e senza i meno convinti. E' anche un modo per fotografare l'evoluzione degli stessi Balcani, che non chiedono più assistenza e aiuto umanitario ma partnership strategiche verso le riforme politiche e sociali di cui hanno bisogno, il rilancio della cooperazione regionale e l'ingresso nell'Unione Europea. Profughi, povertà ed esclusione esistono ancora nei Balcani, ma sono cresciuti istituzioni e gruppi locali che se ne possono (e devono) fare carico. Dando alla cooperazione la libertà di essere interesse reciproco, anche nel profitto.
Le speranze
Ora che lascio, almeno nella dimensione più impegnata di consigliere dell'Associazione, porto con me due speranze che mi auguro si confermino nel futuro di Trentino con i Balcani. La prima è che le intuizioni dell'inizio, doverosamente aggiornate, restino impresse nel lavoro di chi proseguirà. Con una presenza che continui perciò a non accontentarsi di fare progetti, ma cerchi di essere politica e provocatoria mettendo sempre quando serve "el cul ne le pedade". E mantenendo, anzi accentuando, il suo carattere di ricerca culturale, di discorso sul destino comune e interdipendente tra europei di qua e di là dell'Adriatico, come nell'esempio del lavoro fatto attorno alla figura di Bekim Fehmiu.
La seconda speranza è invece che la struttura sappia adeguarsi nello stile di gestione interna - perché interesse e profitto richiedono necessariamente più managerialità e direzione, qualunque forma organizzativa prenderà l'Associazione - senza però perdere lo spirito di partecipazione allargata e il patrimonio di persone ed esperienze che nei Balcani e in Trentino le sono ruotate attorno. E' un rischio che a volte ho colto in questi ultimi mesi, ma che spero si riesca ad evitare trovando il modo di unire passato e futuro. L'intreccio, per essere tale, ha bisogno di tanti fili.
Buona impresa!
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