"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Dalla prima pagina del Corriere del Trentino di oggi riprendiamo l'editoriale di Giovanni Pascuzzi dedicato al tema dell'apprendimento permanente, oggetto della Legge Provinciale approvata recentemente dal Consiglio Provinciale della quale sono stato primo firmatario.
di Giovanni Pascuzzi
(3 luglio 2013) Chissà se gli allievi di don Milani hanno mai avuto consapevolezza di quanta strada avrebbero percorso alcune delle idee espresse nella famosa «Lettera ad una professoressa».
Si prendano, ad esempio, queste frasi: «Quando i laureati criticano la scuola e la dicono malata si dimenticano d'esserne i prodotti. Non sono più capaci di pensare che possa valer qualcosa chi non ha fatto i loro studi»; «Ogni popolo ha la sua cultura e nessun popolo ce n'ha meno di un altro. La nostra è un dono che vi portiamo. Un po' di vita nell'arido dei vostri libri scritti da gente che ha letto solo libri».
Da tali frasi capiamo che: la conoscenza non coincide solo con il sapere dichiarativo (come la fisica, l'economia e così via); esiste una dimensione del sapere che difficilmente può essere appresa leggendo libri; la conoscenza è poca cosa se è disgiunta dalle visioni del mondo, ovvero dai valori che ogni uomo e ogni comunità esprime; i processi formativi sono efficaci solo se poggiano su uno scambio reciproco.
Le raccomandazioni dell'Unione europea del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008, volte a gettare le basi del sistema comunitario della formazione permanente, ci dicono che i processi formativi devono mirare a far apprendere non solo conoscenze ma anche abilità e competenze. Esempio delle prime è la capacità di risolvere problemi; esempio delle seconde è la padronanza degli atteggiamenti da tenere.
A tali principi si uniforma anche la recentissima legge provinciale sulla certificazione delle competenze con cui si valorizza - accanto all'apprendimento di tipo «formale» che si attua nelle scuole e nelle università - anche quelli "non formali" oppure "informali" (alla stessa logica è ispirato, a livello nazionale, il decreto legislativo 13 del 13 gennaio 2013).
Quanto appena descritto altro non è che l'approdo naturale delle idee citate all'inizio. Qualcuno tratta con sufficienza il cosiddetto "sapere pratico". Ma ne comprendiamo meglio l'utilità se lo definiamo "sapere esperto": si è talmente padroni di un sapere dichiarativo da essere in grado di utilizzarlo per fare delle cose essendo consapevoli del che cosa significhi farlo.
Insegno all'università e rivendico l'importanza degli apprendimenti formali. Sono però altrettanto convinto della necessità che tutti i processi formativi (compreso quello universitario) debbano far apprendere, insieme al sapere, anche abilità e competenze. Semmai occorre interrogarsi sul come questo può avvenire.
Dalla famosa immagine del sacerdote toscano che parla ai ragazzi seduti intorno a un tavolo (lezione non cattedratica) e dal fatto che «Lettera a una professoressa» fu scritta dagli stessi studenti (imparare facendo) si possono ricavare altri esempi dell'attualità di Don Milani.
La prima pagina del Corriere del Trentino di oggi
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