"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

La difficoltà di essere presenti al proprio tempo

Storie

Questa riflessione viene ospitata oggi in prima pagina sul quotidiano L'Adige 

di Michele Nardelli

(28 luglio 2013) L'esito delle primarie del centrosinistra autonomista ha fatto emergere le criticità di un percorso politico incompiuto, quello del Partito Democratico. Quei 139 voti di scarto sono stati una sorta di detonatore di contraddizioni comunque presenti e che fin qui non abbiamo saputo o voluto affrontare.

Lo stesso dibattito che ne è seguito ha evidenziato i limiti di fondo di un partito che fatica a comprendere la natura reale della sua crisi. Ho sentito critiche molto severe, l'indistinta richiesta di azzeramento degli organismi dirigenti, un monito verso il proliferare di personalismi che riducono la politica ad affare privato, un forte richiamo alla necessità di rinsaldare il rapporto con il territorio.

Tutto questo è più o meno comprensibile e, talvolta, condivisibile, ma tende ad eludere le ragioni di fondo che sono all'origine della crisi della politica e senza la risoluzione delle quali il resto appare come una sorta di anestetico o di pericolosa scorciatoia.

Certo, gli effetti degenerativi della politica ne hanno minato la dimensione progettuale e collettiva, per cui le idee diventano un optional e i destini personali tutto. Ma a monte di questo, all'origine della crisi profonda della politica e dei corpi intermedi, c'è un difetto di sguardo, l'incapacità di comprendere un contesto in rapida trasformazione che rende sempre più inservibili le categorie con cui osserviamo la realtà e gli strumenti con i quali interagiamo con essa.

Tutti noi abbiamo la consapevolezza della profondità dei mutamenti che investono il nostro presente, dal clima all'economia, dalla limitatezza delle risorse alle nuove frontiere della conoscenza o della comunicazione. Oggi però la politica non sa raccontare questi processi. Ci si aggrappa a Keynes nella speranza che prima o poi vi sia una qualche forma di ripresa dell'economia, quando quel tempo (e quel pensiero) sono finiti per il semplice fatto che quella ricetta si reggeva sull'illimitatezza delle risorse e sul fatto che i 3/5 dell'umanità non avevano accesso al tavolo della loro
distribuzione. Oggi quella parte dell'umanità non solo siede attorno al tavolo, ma detta le condizioni.

La nascita del Partito Democratico aveva a che fare con tutto questo. Non rappresentava semplicemente l'incontro di due grandi storie, quella popolare e quella socialdemocratica, bensì la consapevolezza che quelle visioni non bastavano più, che occorreva una sintesi originale capace di interpretare una nuova storia dopo la fine di quella precedente. Un progetto ambizioso, laddove nel mondo gran parte della dialettica politica ancora si esprime attraverso la rappresentazione fra progressisti e conservatori, ma che non si è realizzato.

Al contrario, abbiamo quasi metabolizzato l'opacità di sguardo della politica, come se la sua sfera di azione non sapesse andare oltre la manovra quotidiana, incapace di proporre un progetto sociale e culturale alternativo a quello che per vent'anni ha dominato la scena politica italiana. Che, peraltro, abbiamo letto nelle sue manifestazioni più parossistiche, anziché comprendere come quel sistema di idee e (dis)valori si insinuava come un cancro nella vita delle persone prima ancora che nel corpo sociale.

Vent'anni che hanno lasciato il segno. Quell'opacità ha impedito di comprendere appieno quel che stava avvenendo, scambiando la cultura plebiscitaria per partecipazione, la necessaria mediazione fra governo e opposizione come "consociativismo", la moderazione della politica verso l'economia come indebita ingerenza, l'impegno contro i privilegi con la demolizione delle istituzioni e della politica.

Quest'ultima si è trovata a rincorrere o a cavalcare gli avvenimenti alla ricerca di facile consenso, dimenticandosi che il suo ruolo avrebbe dovuto essere quello di proporre sguardi lunghi, visioni capaci di anticiparli, a volte di dire cose sgradevoli. L'esempio di come abbiamo subito la crisi è esemplare, senza neanche accorgersi che non di crisi si trattava, ma di un mutamento radicale di contesto, prodotto dalla finanziarizzazione dell'economia. Tanto che siamo ancora qui ad aspettare una locomotiva che non arriverà.

In questo la crisi della politica è più grave e profonda di quello che generalmente viene indicato e non basta il cambio di un gruppo dirigente, magari di qualche anno più giovane, se le coordinate culturali e lo sguardo rimarranno quelli di prima.

Non dobbiamo avere paura dei cambiamenti, anche quando il loro segno non corrisponde a ciò che vorremmo. La "maledizione di vivere in tempi interessanti" per usare la bella espressione di Hannah Arendt va intesa come opportunità e ricerca di un pensiero originale sintonizzato sulla "presenza al proprio tempo". La fatica della politica sta proprio qui, nella difficoltà di essere presenti al proprio tempo.

La fatica di leggere il presente riguarda anche il Trentino che pure ha saputo essere altro nello scenario alpino degli ultimi quindici anni. Mi spingo ad affermare che se il Trentino non si è omologato ad un nord in preda allo spaesamento e alla paura lo si deve certamente alla sua storia autonomistica e ai caratteri di questa terra, ma anche alla sperimentazione politica originale che ne ha saputo fare un interessante laboratorio. E quando questo laboratorio non ha saputo più essere tale, quando ci si è appiattiti nella gestione dell'esistente come se l'autonomia fosse data una volta per tutte, quando la fedeltà è diventata più importante del libero pensiero, quando si sono scimmiottate le formule vuote della politica nazionale, anche la politica trentina ha mostrato i suoi limiti.

Nelle sue intuizioni come nelle sue criticità è questa una storia da rivendicare. Ora però dobbiamo saper andare oltre, ponendo al centro della nostra proposta il territorio (l'ambiente dell'uomo) e la conoscenza (una comunità in apprendimento permanente). Avendo chiaro che in gioco non ci sono le sorti di un partito, ma la capacità di alimentare di idee e buone pratiche la nostra autonomia.

Vorrei che al Trentino si potesse continuare a guardare - anche dopo il 27 ottobre - come ad un territorio non solo che sa coniugare autogoverno e responsabilità, ma che sa riprendere quella sperimentazione politica capace di proporsi ad un tempo territoriale ed europea, perché questa è la cifra del nostro presente.

 

6 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Adel Jabbar il 02 agosto 2013 14:33
    Caro Michele, quello che esprimi rappresenta una lettura stimolante oltre ad essere necessaria.
    Grazie
    Adel
  2. inviato da Gabriella il 31 luglio 2013 17:32
    Ho letto con attenzione il tuo articolo, solo perché era firmato da te….

    Condivido la tua analisi e sono orripilata dai personaggi.

    Mi stupisco sempre quando “i quadri di partito” dicono che non se lo aspettavano… è la conferma della loro distanza dalla realtà.

    Sono in versione riposo estivo e ho poco da contribuire al dibattito, da cui mi sono distaccata due anni fa, dopo aver tentato in zona mia di dare un contributo…

    Manca la materia di menti pensanti, generose e con una visione…

    Apprezzo il tuo lavoro e quello di Mattia Civico …il resto è desolante…. Soprattutto la capacità scientifica di non utilizzare le risorse della gioventù.

    Ma non disperiamo, in ogni caso chi ha fatto secondo coscienza è sereno e continuamente attivo nel quotidiano: questa è il mio m odo di fare politica oggi.

    Alla prossima

    Gabriella Zanini

  3. inviato da Paolo Rosà il 31 luglio 2013 00:18
    Ciao Michele
    domenica ho letto la tua riflessione che condivido e penso anche ad un pubblico più vasto di quello che simpatizza per il PDT. Penso che nella sinistra storica, comprese le organizzazioni sindacali, ci si aggrappi ancora a criteri organizzativi e rappresentativi non in sintonia con i cambiamenti avvenuti in Italia e nel Mondo. Come ad esempio , credo che non basti porre come obiettivo la crescita, l’occupazione, il lavoro, i consumi, ma in un contesto di competizione, mercato e finanza globalizzata, il punto di partenza deve essere quello della ricerca di quale crescita sia non solo possibile ma principalmente sostenibile.
    Ti ringrazio per averla fatta e spero che aiuti a meditare tutti sul cambiamento epocale che abbiamo di fronte e quindi la necessità di utilizzare altri parametri e punti di riferimento per affrontare il futuro.
    Buona estate, ciao Paolo
  4. inviato da Lorenzo il 30 luglio 2013 10:28
    Ciao Michele,
    il tuo articolo mi era già stato segnalato (da mia madre) di prima mattina domenica.
    Stavo lavorando ad una proposta di intevento "più nel dibattito politico" che prende spunto dai tuoi ragionamenti sul PD.
    Ti giro così possiamo capire insieme come valorizzare il contributo al meglio.

    Buona giornata
    Lorenzo
  5. inviato da Paola il 30 luglio 2013 10:24
    Caro Michele,

    sono all'estero in questi giorni e non avevo letto il tuo articolo che trovo molto bello. Non è facile esprimere la sofferenza, la delusione e insieme la determinazione di continuare a credere nella politica, cercando di governare meglio il timone in mezzo a cambiamenti tanto complessi. Non so quale sarà il futuro del PD trentino, ma credo anch'io che il nostro territorio possa continuare ad essere un interessante laboratorio anche con il contributo di chi come te ed altri non smette di pensare con lungimiranza. Spero che il PD possa trovare una strada non solo fuori dai personalismi, ma anche dalle vedute di corto respiro. Sono sempre interessata alle vostre iniziative e alle vostre riflessioni e prospettive.


    Cari saluti


    Paola Giacomoni
  6. inviato da Rosanna il 30 luglio 2013 09:12
    Grazie! Domenica non sono riuscita a leggerla...
    Apprezzo la tua analisi e le tue riflessioni.
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