"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Luca Paolazzi
Introduzione alla Summer School di Politica Responsabile, Monte di Mezzocorona
Questa scuola, al pari dell'Associazione Politica Responsabile, nasce dalla necessità avvertita di riconnettere due sistemi, quello politico-istituzionale e quello socio-economico, al fine di coltivarne un confronto continuo. Lo scollamento tra questi due sistemi è alla base della difficoltà della politica di capire e raccontare il presente e i suoi cambiamenti, di farsi progetto collettivo, di pensare strategicamente, di capire i territori anziché sorvolarli, di promuovere una partecipazione sostanziale ed efficace, in grado di valorizzare le conoscenze diffuse (quella che Barca chiama mobilitazione
cognitiva) nell'elaborare risposte condivise anziché risolversi in spesso vuoti esercizi di selezione del leader. Tale scollamento è anche causa della crescente delegittimazione di quei soggetti intermedi che del presente dovrebbero dare rappresentazione e guidarne lo sviluppo, ma che sono invece troppo spesso concentrati sui processi interni di costruzione del consenso e sull'affermazione autoreferenziale.
La crisi, che da fenomeno passeggero si sta trasformando sempre più in una nuova condizione di normalità, non è un fatto solo economico bensì anche sociale e politico. La crisi politica sta soprattutto nella difficoltà di istituzioni e corpi intermedi di elaborare norme, riferimenti culturali e visioni collettive. È crisi del sistema di rappresentanza basata sui partiti di massa e sulla loro attività di traduzione delle istanze e pulsioni locali e particolari in volontà e visione generale. Possiamo affermare che la crisi della politica è in primis difficoltà di interpretare il presente proprio nel momento in cui, come conseguenza di una globalizzazione e modernizzazione spesso non governata, le persone appaiono sono sempre più incapaci di orientarsi, spaesate e sole. È quindi indispensabile riuscire nel compito di ridare legittimità alla politica, alla sua forma e al suo agire, ripensando le forme della rappresentanza in quest'epoca caratterizzata dalla sfiducia e dal rancore, dalla solitudine e dalla metamorfosi dei processi e dei rapporti territoriali, sociali, economici, produttivi e culturali. Perché "noi, passeggeri di passaggio in questo Paese spaesato: abbiamo bisogno di Politica. Perché senza Politica è impossibile prevedere. È impossibile progettare il nostro futuro." (Ilvo Diamanti)
Oltre allo scollamento tra sfera politica e socio-economico, una componente della crisi della politica va ricercata nel distacco tra il livello di governo nazionale e quello locale. Una risposta alla crisi della politica va data coniugando, anche attraverso un processo di costruzione dell'Italia delle autonomie, le istanze locali con la necessità di guardare oltre i confini nazionali. C'è bisogni di corpi intermedi in grado di interpretare questo "tempo precario" (Diamanti), le istanze locali e di darne un'adeguata rappresentazione presso le sedi istituzionali. Cioè di riconnettere i territori alla politica, ma prima ancora le persone alla narrazione del proprio territorio. Il tutto nel quadro di una revisione della governance istituzionale italiana in cui lo Stato sia uno degli attori della catena della sovranità che dall'Europa arriva ai territori, che devono essere sempre più autonomi.
Siamo convinti della necessità di riconnettere la politica ai territori, alle loro istanze, alla loro comprensione e narrazione, in questa nuova dimensione caratterizzata dalla complessità e dall'interdipendenza tra i livelli di governo, tra le reti, tra i luoghi, tra i territori. Per questo motivo da qualche mese abbiamo inaugurato un cantiere che partendo dalla dimensione trentina, dalla sua autonomia, dal suo essere laboratorio politico ed istituzionale innovativo, ponga al centro del dibattito l'idea di un partito insieme territoriale, nazionale ed europeo, in grado di essere nodo di reti politiche e territoriali corte e lunghe, alpine e mediterranee allo stesso tempo. Perché, con De Rita, "a una politica che si disormeggia dal territorio, si concentra sulle dinamiche relative ai soli poteri statuali o sovrastatuali, dimentica gli interessi locali, la loro articolazione, la loro residua vitalità, non resta che occuparsi dello spread: di come tenerlo sotto controllo con europeista responsabilità o di come relativizzarne il significato alimentando derive populiste".
Il territorio, prima di essere parola chiave dell'azione politica, deve diventare uno spazio pensato e praticato, capito e raccontato, rappresentato. La solitudine dei territori e la loro rancorosità è già stata fin troppo ventre della proposta politica populista, demagogica, conservatrice e xenofoba che ha dominato la scena politica e culturale italiana negli ultimi 20 anni. La questione territoriale non può essere interpretata in un'accezione localista. Il territorio non può essere visto come una piccola patria, né come una risorsa da sfruttare, bensì va visto come la dimensione dei saperi, delle conoscenze, dei comportamenti collettivi, dei rapporti sociali ed economici, dei processi culturali, della comunità e dei suoi problemi; cioè come la dimensione nella quale è necessario radicarsi per capire e narrare il nostro tempo, la sua complessità, costruire nuove pratiche comuni e una partecipazione costruttiva. Solo così sarà possibile pensare strategicamente a progetti politici in grado di indirizzare le forze sociali ed economiche verso un nuovo modello di sviluppo, che ponga una soluzione alle degenerazioni causate dalla finanziarizzazione dell'economia, dalla precarizzazione dei rapporti produttivi e dalla riduzione del territorio a contenitore delle esternalità negative provocate da un modello di sviluppo e di accumulazione staccato dai luoghi.
Come scrive Bonomi: "Pensare il territorio come un luogo della pratica politica rimanda al mettersi in mezzo sincreticamente tra le antinomie della modernità che avanza. Se la crisi ci ha definitivamente immersi tutti in un capitalismo globale dell'incertezza, il territorio va inteso in primo luogo come uno spazio pubblico che non sta più né solo nella statualità ne solo nella comunità".
Politica responsabile è innanzitutto un cantiere politico, e un originale esperimento di fotografia sociale partecipata. Il progetto è nato tre anni fa con la volontà di essere uno spazio politico aperto alla partecipazione e al confronto, integrativo o sostituivo di quello dei partiti, sempre più incapaci di strutturare i luoghi del confronto e della costruzione politica. PR è nata perché già 3 anni fa era chiara la necessità di un progetto, o meglio di un processo, innovativo come possibile risposta ad una politica in crisi, sempre meno capace di capire il nostro tempo, di interpretarlo e di fornire delle risposte alla collettività. E PR ha lavorato in questi 3 anni, sia virtualmente che fisicamente, proprio per essere al contempo stimolo e spazio di questo confronto tra politica e società.
Abbiamo scelto la metafora fotografica per raccontare questo nostro progetto: ogni quindici giorni abbiamo consegnato la macchina fotografica a un diverso fotografo (cosiddetto direttore responsabile), e ognuno ha scelto il suo soggetto, rivolgendo l'obiettivo verso il contesto che lo circondava, con una particolare attenzione a ciò che spesso vediamo ma che raramente osserviamo. Ha deciso la composizione dell'immagine da mettere a fuoco e la luce migliore per lo scatto. Ha regolato profondità di campo ed esposizione. Sviluppata la pellicola, ha mostrato la propria fotografia chiedendo a chiunque volesse di commentarla, di offrire un diverso punto di vista. Mettendosi in gioco, accettando le critiche, rispondendo alle domande e articolando ragionamenti che arricchissero il quadro inizialmente proposto.
Quasi tutti questi interventi, più di cinquanta, sono ora raccolti in un libro dal titolo "Senza parole. Cronache e idee dall'autunno della politica", in uscita a settembre. Il titolo, e la foto di copertina (degli spazi elettorali vuoti), cercano di descrivere il senso di spaesamento e di smarrimento verso l'inconsistenza delle narrazioni politiche che ci ha portato all'avvio di questo progetto, nel tentativo di trovare le parole e i criteri interpretativi giusti per capire e raccontare il nostro presente. Ne esce una prima bozza di quel vocabolario che vorremmo costruire ed arricchire nel corso di questi tre giorni.
Il nostro vocabolario (libro)
SPAESAMENTO. Frutto di una globalizzazione e di una modernizzazione subita e non governata, mancata interpretazione del passato e negazione del futuro. È individualismo contrapposto a relazione. Assenza di linguaggi e valori condivisi, è rappresentazione di comunità e territori sfrangiati e sofferenti, è frutto di identità eccessivamente deboli o all'opposto rigidissime. È necessità di reciprocità e ascolto come necessari spazi della conoscenza e della possibilità, opportunità (e necessità) di cambiamento. Impone anche una riflessione sui luoghi, fisici e del pensiero, che offrono opportunità di partecipazione, di confronto, di articolazione della rappresentanza che oggi versano in grave difficoltà, riappropriazione di significato dei legami sociali, della gestione dello spazio pubblico (anche virtuale) e della capacità di viverlo
PARADIGMI. La parola crisi è entrata nelle nostre vite nel 2008 e ha cambiato il nostro approccio all'economia e alla politica rendendoci insicuri, sospettosi, delusi ed è diventata sinonimo di povertà, sacrifici, precarietà. Sinonimo di una fase temporalmente limitata. La crisi, in questa interpretazione, così come è iniziata si sarebbe dovuta concludere ma così non è stato. Sono quindi i paradigmi di riferimento che vanno messi in discussione. Se la crisi da fenomeno passeggero diventa un nuovo equilibrio, allora è necessario darsi il tempo di reinterpretare temi quali l'economia, il lavoro, la politica - e con essa la democrazia -, l'ambiente, gli stili di vita e le relazioni di comunità dentro questo scenario mutato.
PASSAGGI: necessità di governare il passaggio tra generazioni, neutralizzando la retorica della rottamazione. Necessità di tre condizioni: Uno. Il moltiplicarsi di opportunità rivolte ai giovani e da loro direttamente create (Valorizzazione delle capacità e riconoscimento delle stesse). Due. La possibilità di mettersi in gioco rimanendo costantemente al passo con i tempi attraverso percorsi di «formazione permanente» e rapporti costruttivi tra chi ha accumulato esperienza e chi si appresta a confrontarsi con il mondo. Tre. La capacità di chi detiene posti di potere di compiere il passo più difficile: il saper passare la mano impegnandosi nell'accompagnare la formazione di nuova classe dirigente.
TERRITORIO. Nei termini descritti sopra.
AUTONOMIA. Quale componente fondamentale per il ripensamento della forma istituzionale dello Stato, per lo sviluppo dei territori e per la loro responsabilizzazione, per il ripensamento di un modello di sviluppo in grado di essere al contempo sostenibile e coerente con la vocazione dei luoghi.
INTERDIPENDENZA e COMPLESSITA': ogni argomento è locale e sovranazionale insieme. Tutto questo ha a che fare con il concetto di sovranità, la cui cessione non dovrebbe essere vista come un sacrificio ma come un auspicabile processo di condivisione delle decisioni laddove non esiste più la possibilità di agire l'unilateralità. Serve il coraggio di cambiare gli occhi con cui guardiamo le cose, per capirle e governarle. E per immaginare il futuro. Un salto di paradigma netto rispetto all'attuale approccio. Da soli, dentro un mondo così fittamente interdipendente, non esistiamo.
Ringrazio tutti per la partecipazione a questa scuola, nella speranza che essa stessa si faccia spazio e laboratorio politico costruttivo, ma anche progetto duraturo.
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