"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
Davanti alle immagini delle ultime tragedie nel Mediterraneo abbiamo pianto, dolore e rabbia per quelle vite annegate a poche miglia da Lampedusa, per quel neonato ancora attaccato alla madre. Ma piangere non basta. Ci siamo indignati ascoltando che la stupidità della Bossi-Fini costringerà la magistratura a incriminare i superstiti. Colpevoli di fuggire da una guerra, o di aspirare ad una vita lontana dalla fame. Ma indignazione e rabbia non bastano.
Ci vuole un po' di memoria per renderci conto che non stiamo assistendo ad un'emergenza improvvisa. Non può dirsi "emergenza" un fenomeno che dura da decine di anni: cambiano le rotte e la provenienza delle persone, ma dall'inizio degli anni '90 l'Italia è terra di immigrazione e di sbarchi. E di tragedie, seppure dimenticate: chi ricorda gli oltre cento morti della Kater i Rades, carretta albanese speronata nel 1997 da una nave della nostra Marina militare mentre cercava di respingerla.
E quando non basta la memoria, ci vorrebbe un po' di storia a rammentarci che da sempre il mondo è attraversato da migranti in cerca di una vita migliore: già nella Bibbia lo erano gli ebrei schiavi guidati da Mosè, o nella storia moderna gli irlandesi diretti in Nord America per fuggire alla carestia di metà '800. Noi trentini lo siamo stati massicciamente per almeno un secolo, fino a nemmeno quarant'anni fa. Erano i nostri nonni a viaggiare sulle navi, anche da clandestini, come possiamo dimenticarcene? E come non vedere che anche oggi da questo nostro paese i giovani iniziano ad emigrare, non certo per scelta?
Se la storia non basta, pensiamo alla geografia. Il Mediterraneo è un mare chiuso, da sempre via di comunicazione e incontro fra le popolazioni delle diverse sponde. L'ulivo e la vite non sarebbero arrivati qui senza il suo tramite. E' pensabile oggi dividerlo in due da confini sigillati? La questione migratoria ha scosso come noi la Spagna, che ha steso venti chilometri di reticolati e filo spinato attorno alle sue enclave marocchine di Ceuta e Melilla, e la Grecia, dove è sorto addirittura un muro a difesa del confine con la Turchia. Ma si può fermare un mare, e chi ci naviga sopra? Dal 1988 ad oggi la fortezza Europa ha causato alle sue frontiere oltre diciannovemila morti censiti, e chissà quanti altri sconosciuti. E' una strage quotidiana, mentre le merci viaggiano libere...
Nemmeno la geografia, però, basta da sola ad affrontare i morti di Lampedusa. Bisogna ragionare sulla politica internazionale, sulle crisi insolute da decenni come quella somala, sui regimi dittatoriali come quello eritreo, sul destino delle primavere arabe abbandonate a se stesse, o ancora sulle guerre che il mondo non sa fermare come quella siriana. Senza un intervento deciso a monte sulle ragioni della fuga, a valle serve a poco lanciare missioni di soccorso in mare, per quanto dovute. E ripensare il ruolo della cooperazione internazionale, affinché lo spazio mediterraneo corrisponda ad un'area di relazioni economiche, commerciali e di reciproco scambio a fronte del fatto che questi paesi hanno straordinarie ricchezze e prerogative.
Il soccorso e la solidarietà, che pure marinai e lampedusani sanno offrire con generosità, non bastano. Occorre cambiare radicalmente le nostre leggi sull'immigrazione: cancellare la Bossi-Fini e con essa quei lager che sono i Centri di identificazione ed espulsione; darci una norma sul diritto d'asilo per quei "cittadini del nulla", che non c'è nonostante questo diritto sia scritto nella Costituzione Italiana; creare canali umanitari per soccorrere le vittime delle guerre; dotarci di un quadro europeo d'accoglienza che suddivida lo sforzo fra tutti i paesi membri; ripensare le politiche per i migranti economici, costruendo anche sistemi di scambio e di co-sviluppo coi paesi di provenienza. Ricordandoci peraltro che chi arriva con i barconi sulle nostre coste rappresenta una piccola percentuale dell'immigrazione totale in Italia, e questa a sua volta è infinitamente minore per numeri e proporzione a quella che investe altri paesi europei oppure paesi come Libano, Tunisia o Kenya, limitrofi ad aree di forte instabilità. Possibile che il fenomeno crei più problemi a noi che a loro?
Ma umanizzare l'arrivo non basta, va costruita l'integrazione quotidiana. Che non è assimilazione dei nuovi venuti, ma convivenza fra diversità dentro una comunità plurale. E' un fatto permanente che i nostri paesi siano sempre più abitati da persone di varia provenienza, come le nostre scuole sono colorate da bimbi di tutto il mondo. Può essere una ricchezza, se sappiamo coglierla e integrarla dentro il nostro essere Trentino. Una terra autonoma che sa mantenere le relazioni con i suoi circoli nel mondo, così come accogliere i nuovi abitanti in un'idea di cittadinanza locale e globale insieme. E' trentino - oltre che italiano ed europeo - chi ha genitori o nonni nati qui, e allo stesso modo dev'essere trentino-italiano-europeo chi ha genitori di altri paesi ma è nato nei nostri ospedali, e oggi frequenta i nostri asili e le nostre scuole. E' una questione di giustizia, oltre che di buon senso.
E anche all'integrazione dovremmo saper andare oltre, perché cittadinanza significa imparare a conoscere le storie come le geografie, le culture scientifiche come quelle materiali che attraverso lo spazio mediterraneo sono giunte sino a noi, in uno straordinario mosaico di pensieri, parole, musiche, costumi, cibi, spezie. Anche di conflitti, certo, dai quali abbiamo saputo imparare. Nell'arte dell'incontro.
In questi anni, sottraendoci dalle logiche emergenziali, ne abbiamo fatto un percorso sulla cittadinanza euromediterranea con l'obiettivo di confutare l'idea nefasta dello scontro di civiltà. Per il semplice fatto che il mediterraneo è, in tutti i suoi colori, la nostra civiltà.
Emozioni, rabbia, memoria, ragionamenti, leggi, futuro. Tutto questo ci serve per affrontare il dolore delle tragedie di queste ore. Per andare oltre le lacrime, con la buona politica.
Michele Nardelli è consigliere provinciale e candidato nelle liste del PD del Trentino
1 commenti all'articolo - torna indietro