"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(ottobre 2013) In questi giorni si sono intrecciate una serie di iniziative interessanti che hanno posto il tema del modello di sviluppo nell'area alpina: la conferenza stampa con gli esponenti del Bard (Belluno Autonoma Regione Dolomiti), la presentazione dell'ultimo lavoro di Aldo Bonomi "Il capitalismo in-finito" che attraversa le regioni della crisi, l'incontro di Grenoble delle regioni e dei ministri dei paesi dell'arco alpino, l'incontro di Borgo Valsugana sulle "terre alte". La riflessione di Michele Nardelli proposta sul Corriere del Trentino.
di Michele Nardelli
Nel tempo della crisi, abbiamo parlato spesso di "Terre alte", ovvero dei territori di montagna che si sono trovati a dover far fronte a condizioni di mercato più sfavorevoli e a costi sociali maggiori. Produrre un litro di latte in montagna non è la stessa cosa di produrlo in pianura, così come garantire lavoro, scuola e servizi di qualità nello spazio alpino richiede una disponibilità di risorse maggiore che altrove.
A tutto questo in Trentino abbiamo cercato di far fronte con le prerogative della nostra autonomia, con un assetto economico e sociale che ha potuto contare su una diffusa presenza della cooperazione e di organizzazioni consortili, con una comunità che ha saputo mantenere livelli buoni di coesione sociale rispetto ai processi di spaesamento che abbiamo conosciuto altrove, grazie ad una fitta rete partecipativa e di volontariato. Ciò nonostante la crisi (visto il suo carattere strutturale, meglio sarebbe parlare di un tempo nuovo) morde anche qui e sono molte le aree di difficoltà e di sofferenza, specie fra i giovani che faticano a trovare un lavoro che non sia all'insegna della precarietà e che per questo decidono di andarsene.
Altre "Terre alte" sono diventate "terre sole". Penso ad un arco alpino dove ha prevalso il rancore. A Province cancellate e diventate appendici della pianura. A Regioni italiane deprivate delle proprie ricchezze e colonizzate da modelli industriali invasivi. La ricchezza di risorse materiali infatti da sola non basta. Servono coscienza di sé e capacità di autogoverno.
Nonostante si sia guardato al Trentino come terra di autonomia e di buon governo, bisogna riconoscere che - in assenza di un progetto capace di riscoprire vocazioni ed identità - anche le nostre valli rischiano di cadere nella solitudine. Tanto per essere chiari, infelicità, frustrazione e abbandono corrispondono ad un sentire che talvolta incontriamo nella percezione che di sé hanno alcuni dei nostri territori. Specie laddove un modello di sviluppo estraneo alle vocazioni locali (e che spesso aveva la propria testa altrove) ha lasciato come eredità un vuoto fatto di insediamenti insostenibili, disoccupazione e spaesamento.
L'autopercezione rappresenta dunque il punto di partenza di un processo di riqualificazione dei territori. Solo attraverso questo passaggio, il territorio da spazio interno ad un confine, diventa soggetto vivente, nel quale la natura dialoga con la storia, le culture, i saperi dei luoghi... In altre parole, diviene l'ambiente dell'uomo, nella sua unicità.
E' quel percorso di ascolto, ricognizione e tessitura che in questi mesi stanno realizzando gran parte delle Comunità, accompagnate in questo dal prezioso lavoro del gruppo di animazione territoriale di Trentino Sviluppo e da Step, la Scuola per il governo del territorio e del paesaggio.
Allargando lo sguardo, corrisponde al lavoro di indagine sui territori che Aldo Bonomi ci ha proposto (insieme a Giuseppe De Rita) fin dal 1998 con il suo "Manifesto per lo sviluppo locale" e, da ultimo, con "Il capitalismo in-finito", un racconto attraverso le regioni italiane, le terre "alte", le terre "sorvolate", le terre "sole"... che in larga misura la politica nazionale non ha saputo ascoltare.
Non è, per la verità, un problema solo della politica, bensì dell'insieme dei corpi intermedi (associazioni di categoria, sindacati, movimenti economici e sociali), che da tempo hanno smesso di leggere i territori o che semplicemente li considera come terminali delle proprie politiche "nazionali".
Se questo accade non è solo per i processi di autoreferenzialità in cui le rappresentanze sono spesso sprofondate. Accade soprattutto perché è andata cambiando la cifra dei problemi, sempre più territoriale (là dove i processi si manifestano) e sovranazionale (come esito dell'interdipendenza), rendendo obsoleta gran parte di una struttura politico/istituzionale nazionale che appare ormai "fuori scala".
In questo mare, cercando di sintonizzarsi con i processi reali nello spazio sociale e culturale fra le terre alte e le terre sole, il Trentino sta cercando di ritrovare una propria strada. E' un passaggio delicato che richiede un salto culturale profondo e anche per questo non sempre compreso e accettato. Occorre infatti un nuovo assetto istituzionale più vicino ai territori (le Comunità), un processo di riqualificazione che deve investire settori chiave come l'industria, l'agricoltura e il turismo. Senza dimenticare che l'assetto urbano e il paesaggio sono parte ineludibile di tutto questo.
Occorre infine la mobilitazione responsabile di ogni energia vitale.
Riqualificare e rimotivare. Perché la prima delle risorse da mettere in campo per abitare questo tempo nuovo ed incerto è quella umana, nel riuscire a valorizzare l'apporto di ognuno e nel far interagire conoscenza e fantasia. Solo così potremo "fare meglio con meno".
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