"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Campo democratico, ultima fermata

Campo in fiore

Cari amici, mi spiace non riuscire ad essere con voi all'incontro di oggi e quindi affido a questo messaggio la breve considerazione che avrei voluto proporvi in questa occasione.

Condivido che il PD abbia in buona sostanza mancato l'obiettivo per cui era nato, quello di dar vita ad uno spazio politico e culturale capace sul piano del pensiero come delle forme dell'agire politico di oltrepassare il Novecento. Credo altresì che se oggi il Partito Democratico, e con esso l'insieme dei corpi intermedi, è in grave difficoltà, questo abbia a che fare con l'incapacità di leggere e raccontare il nostro tempo.

Questa “crisi di sguardo” ha molteplici ragioni, prima fra tutte quella relativa al fatto che il carattere interdipendente dei processi globali/locali ha messo “fuori scala” i corpi intermedi. Se oggi la cifra dei problemi (e dunque la chiave per accedervi) è sempre più sovranazionale e insieme territoriale (nei luoghi dove si materializzano le contraddizioni e nella dimensione nella quale possono essere affrontati), non si comprende perché i partiti siano strutture nazionali, incapaci di visione europea e che, al tempo stesso, sorvolano i territori, ridotti a terminali elettorali piuttosto che luoghi di sperimentazione sociale e politica dotati di autopensiero. Di quel “pensare da sé”, antidoto verso una cultura plebiscitaria che rende superfluo il ruolo stesso della politica.

E' mia convinzione che una possibile pagina nuova della democrazia debba nascere della riforma in senso democratico, federalistico e sovranazionale (in senso europeo, mediterraneo, danubiano, alpino...) della politica. Ritornare al piacere di uno sguardo lungo, oltre le emergenze e le scadenze che rendono arida la politica, e al tempo stesso, alla necessità di comprendere i processi nel loro materializzarsi nella nuda vita delle persone e dei luoghi. Cercando soluzioni che facciano propria la cultura del limite, quel limite che ormai il pianeta ha ampiamente oltrepassato senza che si sia avvertito l'imperativo di cambiare un modello di sviluppo insostenibile.

“Territoriali ed europei”, poteva essere il titolo della mozione congressuale che non c'è. Capisco che ciò rappresenterebbe una rivoluzione copernicana della politica, ma è ciò che avverto come ineludibile.

Nell'affidarla ad un messaggio di poche righe (e a proposito di cose impossibili), mi vengono in mente le parole di Altiero Spinelli che nel lasciare Ventotene scriveva: «Guardavo sparire l'isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita, avevo fatto la fame, avevo contemplato - come da un lontano loggione - la tragedia della seconda guerra mondiale, avevo tirato le somme finali di quel che andavo meditando durante sedici anni, avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili … nessuna formazione politica esistente mi attendeva, né si prestava ad accogliermi nelle sue file ... con me non avevo per ora, oltre che me stesso, che un Manifesto, alcune tesi e tre o quattro amici».

Un abbraccio.

Michele Nardelli

 

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