"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Nella bella cornice della sede di Sant'Agostino dell'Università di Bergamo si è svolta sabato scorso 16 novembre la Conferenza internazionale "Diventare Europa. Dalla solidarietà all'integrazione europea dei Balcani e della Turchia" promossa da Osservatorio Balcani Caucaso insieme alla Cattedra Unesco dell'Università di Bergamo e la Fondazione Serughetti La Porta.
L'incontro rappresentava l'evento conclusivo del percorso "Racconta l'Europa all'Europa" con il quale OBC ha cercato di documentare e riflettere attorno quello straordinario ponte di solidarietà che venne realizzato dalla società civile italiana negli anni '90 verso la tragedia che si consumava nella Jugoslavia.
Arrivo che la conferenza è già iniziata. La grande sala delle conferenze è gremita di oltre duecento persone, a testimoniare come la sfida europea nonostante tutto continui a rappresentare un progetto politico - si potrebbe dire - malgrado la politica. Due i panel previsti nell'arco della mattinata ("L'attivismo contro la guerra nei Balcani" e
"L'allargamento dell'Unione Europea"), mentre nel pomeriggio si svolge la tavola rotonda "L'Europa che manca" per provare un bilancio fra aspettative e realtà.
Nell'intervallo fra un panel e l'altro vedo molte persone incontrate vent'anni fa lungo le strade della solidarietà ma anche tanti giovani che quando riapparve la pulizia etnica nel cuore balcanico dell'Europa forse nemmeno andavano all'asilo. Anche qui, pacche sulle spalle, onda lunga di un dispiacere vero ma anche di un po' di ipocrisia rispetto alla mia mancata rielezione in Consiglio Provinciale. Mi verrebbe di getto di parlarne, ma non è questo l'oggetto di questa rubrica che intende essere nuova se non nel lessico almeno nell'obiettivo che cerca di darsi.
C'è qui, nell'antico convento agostiniano, una piccola comunità di persone che mi vorrebbe ri-accogliere, ma in cuor mio non voglio affatto mettermi a fare quel che facevo prima della parentesi istituzionale. Certo, i Balcani continueranno a rimanere - come del resto lo sono stati anche in questo tempo - al centro del mio sguardo. Ma la scelta che gli elettori hanno fatto intendo considerarla una nuova opportunità per ripensare il mio impegno e un po' anche la mia vita, così come avvenne nel 1984 quando andai a Roma, nel 1989 quando decisi che quell'esperienza si era conclusa e mentre cadeva il muro decidemmo di fare qualcosa di inedito che contribuì a rendere diverso il Trentino, negli anni '90 quando la guerra mi entrò dentro e l'Europa di mezzo cambiò il mio sguardo, quando nell'approssimarsi del nuovo secolo ci rendemmo conto che una storia era finita e che l'originalità del nostro pensiero era troppo importante per limitarci ad autorappresentarlo, quando infine mi si chiese di fare quel che non sono portato a fare perché proprio non ci riesco a lisciare il pelo, prendendomi la responsabilità di un mandato consiliare che pure credo di aver svolto con impegno ed efficacia.
Da subito posso dire che in questa nuova scommessa il viaggio attraverso i luoghi sarà il nutrimento del mio sguardo. Lungo le strade dimenticate delle regioni italiane, nell'Europa che ancora non ha coscienza di sé, nel Mediterraneo da cui abbiamo appreso (quasi) tutto ma che non riesce ad affrancarsi dall'infelicità dello splendore smarrito, nei Balcani che sanno essere la sfera di cristallo dove leggere la postmodernità.
E' in fondo di questo che parlo nella tavola rotonda moderata dal giornalista dell'Espresso Gigi Riva e cui partecipo insieme alla parlamentare Pia Locatelli, a Michele Brunelli della Cattedra Unesco e alla giornalista belgradese Alexandra
Mjalkovic (trovate la registrazione degli interventi su http://www.balcanicaucaso.org/).
Parlo di quel che rappresentava il vecchio ponte di Mostar che non a caso si è voluto abbattere, di quella discussione sul Trattato costituzionale europeo che non per niente si è incartata sulle radici culturali dell'Europa, dell'accanita opposizione all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea che gli euroscettici hanno messo in campo con successo tanto che questo paese ha scelto di guardare altrove, di questa stupidaggine dello "scontro di civiltà" che pure ha trasformato il Mediterraneo in un immenso muro (e in un cimitero), dell'Europa che se sarà degli Stati semplicemente non sarà. E poi dell'interdipendenza con cui dobbiamo ancora imparare a vivere, dell'interazione fra deregolazione e delocalizzazione, del carattere postmoderno di quel che è avvenuto ed avviene in questa parte d'Europa, della dimensione sovranazionale (e territoriale)
quale cifra ineludibile per leggere il nostro tempo (ma anche la crisi della politica e dei corpi intermedi).
Sento seguire alle mie parole un forte applauso. Penso fra me a quanto sia distante tutto questo dal dibattito in corso fra i candidati alle primarie del Partito Democratico. A proposito, Gianni Pittella che del Parlamento Europeo è vicepresidente e che avrebbe dovuto concludere i lavori della Conferenza non c'è. Nei pochi minuti di videomessaggio che ha fatto pervenire ci dice che l'Europa c'è ed è impegnata nelle politiche di allargamento, come a non vedere che ogni volta che l'Europa politica è stata chiamata a battere un colpo, nei Balcani come nel Mediterraneo, si è miseramente frantumata. E quasi non accorgendosi che la popolarità del progetto politico europeo è oggi ai suoi minimi storici.
Mi sa che dovremmo prima di tutto capirci su ciò che intendiamo per Europa. Per quel che mi riguarda, con gli autori del "Manifesto di Ventotene", continuo a pensare che "Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali
sovrani". Quando Colorni, Rossi e Spinelli, scrivevano queste parole era il 1941. Quell'idea dell'Europa come progetto e visione sovranazionale, quel progetto politico federativo nel quale gli stati nazionali avrebbero dovuto cedere sovranità verso l'alto e verso il basso, quell'Unione di popoli nel quale ogni identità nazionale fosse minoranza, appare drammaticamente ancora molto lontano.
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