"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

I frutti della cultura plebiscitaria

Eretici

(21 gennaio 2014) Leggo e rileggo la proposta di riforma del sistema elettorale che il segretario Matteo Renzi ha sottoposto alla direzione del Partito Democratico (vedi scheda in allegato).

Mentre continuo a pensare che il problema non abiti qui, ma piuttosto nel racconto che la politica riesce a fare del nostro tempo, non posso che prendere atto di come la cultura maggioritaria e centralistica sia diventata il tratto di omologazione di grande parte del sistema politico italiano.

A rischio di sembrare naïf, continuo a pensare che il sistema proporzionale sia il migliore fra quelli fin qui sperimentati, che il ruolo della politica sia quello di costruire le alleanze di governo anche sulla base dell'esito del voto, che l'elezione diretta del premier (e dei presidenti) comporti un pericoloso accentramento dei poteri in chiave plebiscitaria, che i premi di maggioranza falsino l'espressione del voto popolare, che le preferenze siano uno strumento tutto sommato utile (anche se non l'unico) nella selezione delle candidature, che le minoranze politiche (ma anche quelle nazionali) debbano trovare rappresentazione istituzionale, che il ruolo di elettore e di iscritto siano diversi e che, pertanto, le primarie siano le negazione del ruolo dei corpi intermedi e a guardar bene della politica.

Sono abbastanza pratico delle cose dei partiti per non conoscerne i meccanismi degenerativi ma i rimedi che si sono adottati in chiave maggioritaria (e plebiscitaria) dal 1992 in poi non mi pare proprio abbiano avvicinato i cittadini alla politica e nemmeno contribuito a renderne le forme più partecipate.

Allo stesso modo la capacità della politica di leggere il presente, di stare sui territori, di interpretare i processi di trasformazione... ha subito nel corso del tempo un'involuzione profonda, tanto da farne corpi sempre più aridi e invisi, tanto da alimentare l'antipolitica. Per contrastarla occorre investire sul radicamento territoriale, sulla partecipazione e sulla formazione, mettendo in campo - accanto a quelli più tradizionali dello studio e della responsabilità - strumenti innovativi di circolazione delle idee e di comunicazione ma soprattutto affermando il valore della politica come impegno collettivo e disinteressato.

Mi chiedo se sono fuori dal mondo o se questa visione sia anche di altri. Certo è che il "prendere o lasciare" di Matteo Renzi appare insieme stupefacente e rivelatore. E, vi assicuro, non centra nulla con la scelta di interloquire o meno con Silvio Berlusconi. E' piuttosto l'idea che chi vince piglia tutto, ma la democrazia dovrebbe essere un'altra cosa.   

 

La proposta di riforma del sistema elettorale

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Vincenzo Calì il 26 gennaio 2014 14:40
    A Matteo Renzi ben si attaglia l’incipit dell’opera del sommo poeta (il quale, come è noto, anche se fiorentino, ci teneva a precisare: florentini natione, non moribus): il nostro si ritrova, nel mezzo del suo cammino,”per una selva oscura, ed aspra e forte, che nel pensier rinnova la paura”.
    Che la “diritta via” sia stata smarrita dal neo segretario del Pd appare evidente se solo si raffronta il meccanismo della legge Acerbo del 1923 con quello previsto nel “patto del Nazareno”, ci accorgiamo di correre il serio pericolo di una deriva autoritaria ancor più inquietante di quella allora voluta dall’uomo di Predappio (con il consenso dei popolari); con la legge di allora, il mancato superamento della soglia (25%) da parte dei blocchi, avrebbe comportato la distribuzione dei seggi con metodo proporzionale al voto ricevuto, mentre con “l’italicum”, che prevede il ballottaggio fra le prime due coalizioni in caso di mancato superamento della soglia, stante al logoramento progressivo dei due maggiori partiti, con il 20% dei voti espressi al primo turno Berlusconi (o meno probabilmente il PD), potrà avvalersi di un 53% di parlamentari di sua fiducia, eletti su liste bloccate, senza primarie. Aggiungiamoci, da parte di un futuro parlamento siffatto, l’arrembaggio costituzionale (stravolgimento del titolo V che tutela le autonomie speciali, concentramento dei poteri nell’esecutivo) e potremo star sicuri che il Giuseppe Dossetti evocato da Lorenzo Dellai si rivolterà nella tomba. Ispira tenerezza, al solo pensarci, “la legge truffa “ con cui De Gasperi tentò nelle elezioni del 1953 di garantire la governabilità del Paese prevedendo un piccolo premio di maggioranza alla coalizione che avesse superato il cinquanta più uno per cento dei voti. Che del problema della governabilità si tratti è noto a tutti, ma è altrettanto noto che tutti i tentativi di aver ragione del “particulare” degli italiani attraverso l’artifizio dei premi di maggioranza dell’ultimo ventennio si sono mostrati fallimentari. La Consulta, organo genuinamente conservatore del dettato costituzionale, richiama tutti, in caso di mancato accordo, al dovere di tornare alla legge proporzionale con voto di preferenza e con soglia di sbarramento; è quanto è desiderabile avvenga, per il bene dell’Italia, che così si avvicinerebbe a quella sintonia fra le due nazioni così efficacemente raffigurata nell’iconografia che fu scelta, ai tempi di Paolo Prodi, come logo dell’Istituto storico italo-germanico di Trento.
    Qualcuno obbietterà che con il ritorno al proporzionale condanneremo l’Italia all’eterna ingovernabilità, magari rispolverando a riprova di ciò, lo spauracchio del primo dopoguerra, quando le elezioni a suffragio universale uguale e diretto diedero vita, fra il 1919 e il ’21, ad un Parlamento in cui 260 deputati socialisti e popolari non riuscirono ad accordarsi e ad aver ragione della destra eversiva, o i quarant’anni di governi a guida DC dalla durata men che annuale: i tempi cambiano e il cittadino elettore ha raggiunto una maturità di giudizio che, diversamente che nel passato, lo può portare a fare un buon uso del voto. Magari facendo sì che, nella malaugurata ipotesi di applicazione dell’Italicum, il voto cada sul movimento dei penta stellati che, con un 36% di voti reali, ottenuto il premio di maggioranza, diventerebbero il moderno Principe che l’Italia non ha mai avuto.
    Vincenzo Calì
il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*