"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Soap opera

Paul Klee

(12 febbraio 2014) Se Matteo Renzi pensa che il governo Letta non sia all'altezza di quel cambiamento che il segretario del PD ritiene necessario non ha che da chiederne le dimissioni.

Mi sembra di capire che la strada maestra sin qui seguita, quella di affidare a questo governo, magari con qualche nuovo innesto, o ad un governo Letta bis l'impegno riformatore richiesto, sia ormai spuntata in particolare dopo l'incontro fra Letta e Renzi di stamane, a meno di un improbabile capovolgimento di maggioranza nella direzione del PD.

Dopo di che la strada sarebbe una sola: il presidente Giorgio Napolitano affida a Renzi, quale espressione del maggior partito politico italiano, l'incarico di esplorare le condizioni per un nuovo governo. Va da sé che se Renzi (e con lui l'attuale gruppo dirigente del PD) decidono per l'affondo, immagino abbia verificato la disponibilità di una maggioranza a suo sostegno. Perché, in caso contrario si andrebbe inesorabilmente a nuove elezioni (con il porcellum corretto dalla Corte Costituzionale).

Se questo è lo scenario, la domanda che mi viene da fare è la seguente: che cosa pensa di fare Matteo Renzi alla guida di un governo espressione della stessa maggioranza che sin qui ha espresso Enrico Letta? Si fanno nomi come Baricco o Boeri che potrebbero dare un nuovo smalto all'immagine governativa, ma sul piano dell'approccio ai problemi economici e sociali, francamente, non vedo tratteggiare una linea diversa. E allora? Perché liquidare l'attuale presidente del Consiglio? Per dimostrare “il dolce stil novo” fiorentino?

Non so darmi risposta. Se non nello scenario per il quale la politica viene ridotta ad una soap opera, in cui l'unica forma di essere “in relazione” con l'opinione pubblica è un continuo, banale e seriale “atto di reciproca autorilevazione”.

E' l'esito della postmodernità, di una politica che abdica a favore della cultura maggioritaria dove chi vince piglia tutto e il progetto sociale (e culturale) non conta nulla.

 

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