"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Con Diego e Roberta percorriamo a piedi il lungomare di Marotta, poco prima di Senigallia dove ci attende una nuova serata dedicata all'Europa di mezzo. La giornata è primaverile ma tira un vento freddo che viene dal mare. Nella notte c'è stata mareggiata e la spiaggia è invasa da ogni che: legname in primo luogo, ma questo può essere comprensibile, sacchetti ed oggetti di plastica anche di grandi dimensioni, cartacce, rifiuti.
In questo lungomare ci colpisce la bruttezza di quel che l'uomo ha saputo costruire. Le case sono cubi di cemento senz'anima, tutte diverse ma uguali nel loro cattivo gusto. I grandi alberghi a quindici piani sono ridotti a scheletri abbandonati (uno di questi un tempo si chiamava Hotel Europa, quasi un presagio...) e altri diventati bordelli. Due condomini a forma di vela sono stati costruiti proprio sulla sabbia, come a sfidare la forza della natura.
Di tanto in tanto qualche casa dell'inizio del Novecento, a rammentarci che quei luoghi un tempo hanno conosciuto anche la grazia della bellezza, quasi spaesate in mezzo a tanta banalità e in attesa che la logica del profitto faccia il suo corso imponendo nuove volumetrie. E questo nonostante il cartello con la scritta “vendesi” faccia capolino un po' ovunque.
“Qui negli anni '60 c'era solo il mare e campagna” ci racconta l'anziano papà di Roberta. Venivano dall'entroterra dove la vita era grama, mentre lungo il mare iniziava lo sviluppo turistico, giravano i soldi, c'era lavoro. E per una vita, insieme alla moglie Ada, hanno lavorato dalla mattina alla sera senza risparmio, i loro corpi ne portano il peso.
Qui per decenni ha governato la sinistra ma la cultura era quella, il mito dello sviluppo che avrebbe creato progresso, lo sviluppo delle forze produttive come si diceva un tempo, socialismo insomma... Quanto è attuale il canto di Giacomo Leopardi nel suo ammonire “il secol superbo e sciocco” che, come le “vele di Marotta”, sfidava la natura.
Ne parlo a sera, nel corso dell'incontro, riferendomi all'incapacità di riflettere sul Novecento a partire dalle parole del poeta quando scriveva ne “La ginestra”
E così, come nei racconti, accade che alla fine della serata si avvicini un uomo sui trent'anni che mi omaggia di un libro che sento subito come prezioso. S'intitola “La lettera di Leopardi ad un giovane del XX secolo”, cui segue “Avvio di una corrispondenza” a mo' di sottotitolo. L'autore, Lanfranco Bertolini, educatore e preside di Gubbio e Senigallia, scomparso qualche anno fa, era suo padre ed il gesto di questo giovane mi emoziona come se ci fosse un filo conduttore dei nostri pensieri che ci fa sentire meno soli. Come dovrebbe essere per quel che facciamo, come l'impegno politico nonostante il potere, come il dedicare uno dei percorsi annuali del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani proprio al Giacomo Leopardi de “Il fiore del deserto”. Una comunità di pensiero, ecco il senso di questa navigazione.
Una piccola curiosità. Quando venne pubblicato questo libro effettivamente la corrispondenza prese corpo, «come un ammonimento – scriveva Bertolini – per quanti ribaltano sui giovani i luoghi comuni della loro triste rassegnazione».
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