"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Ieri sera al Circolo Chinaski di via degli Orbi a Trento a parlare di decrescita felice non mi aspettavo grandi folle e quando sono arrivato lì, intorno alle nove, la saletta era desolatamente vuota. Il ragazzo che aveva organizzato l'incontro aveva l'aria preoccupata, un po' per il collegamento audio che non funzionava, un po' perché nemmeno mi conosceva ed aveva saputo solo un'ora prima della mia presenza. Ma non per l'affluenza ed aveva ragione.
Dopo neanche mezz'ora la sala era piena di giovani che ascoltavano attentamente ogni passaggio del filmato proposto e che seguivano ogni mia parola, come se da queste immagini e parole potesse dipendere il loro futuro. Quando si dice che i giovani non sono attenti... il problema molto più serio è se abbiamo qualcosa da dirgli.
Ed è quel che mi chiedo anch'io, scorrendo gli appunti che mi sono preparato per la serata. Per la verità mi capita spesso di avere a che fare con ragazzi giovani, soprattutto nei luoghi formativi, ma lì è diverso perché c'è una scelta di partecipazione immagino più esigente. Questa sera invece non ho idea di chi siano questi trenta o quaranta ventenni e non so che cosa si aspettino da me.
Provo a raccontare loro una storia. Quella di un paradiso terrestre che si è immaginato per secoli senza limiti così che anche i pensieri filosofici che hanno attraversato l'Ottocento e il Novecento del carattere limitato delle risorse se ne sono fatti un baffo tanto erano accecati dalle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo. Guardando con sufficienza se non proprio deridendo chi li ammoniva, fosse il Giacomo Leopardi de “La ginestra” o l'Arthur Rimbaud di “Mattinata d'ebbrezza”, Hannah Arendt de “Le origini del totalitarismo” o il Club di Roma che nel 1972 se ne uscì con il “Rapporto sui limiti dello sviluppo”. Catastrofisti, si disse. Forse perché ancora nel 1962 il pianeta consumava la metà delle risorse prodotte dagli ecosistemi. Ma avevano ragione visto che solo quindici anni più tardi la soglia della sostenibilità venne violata e che da quel momento in avanti abbiamo spostato indietro il giorno del superamento, quell'overshoot day che nel 2012 aveva raggiunto su scala mondiale la soglia del 22 di agosto.
Il racconto prosegue con quel che si può fare per evitare il peggio. Non amo il concetto di “decrescita felice”, ma di certo c'è che se non invertiamo la tendenza sarà la guerra per accaparrarsi quel che occorre per non mettere in discussione il proprio stile di vita.
Parlo di sostenibilità, di filiere corte, di educazione alimentare, di software libero, di chiusura del ciclo dei rifiuti... parlo di riqualificare i consumi, di riconsiderare il significato di quel facciamo, delle nostre vite di corsa... del significato che hanno assunto esperienze come “Terra Madre”, delle leggi che una piccola comunità come la nostra si può dare nel “fare meglio con meno”, del valore dell'impegno individuale e collettivo nella consapevolezza che – come sosteneva Andrea Zanzotto – di fronte al “progresso scorsoio” ciascuno di noi è insieme vittima e carnefice.
Chissà che diranno di questo anziano signore che viene qui a parlargli di poesia e invece mi riservano un applauso forte e convinto, anzi più di uno. Le domande investono il futuro, quel che si può fare, mi dicono delle loro paure, mi chiedono se sono ottimista. Non nascondo il mio disincanto ma questi ragazzi che nonostante l'ora tarda a quanto pare ancora non ne hanno abbastanza delle mie parole, meritano attenzione, cura, fiducia. In molti vengono a ringraziarmi, “davvero molto” mi dice uno di loro. Tanto che mi chiedono di ritornare.
Mentre torno a casa penso alla distanza fra tutto questo e la rappresentazione che ne viene fatta. A come la politica dovrebbe interrogarsi e insieme darsi gli strumenti per dialogare. A come l'informazione dovrebbe fare altrettanto invece che soffiare sul fuoco del rancore. A come i luoghi formativi faticano ad entrare in sintonia con il bisogno di sapere e di trasmettere le esperienze e la loro elaborazione. Ma con un briciolo di speranza in più.
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