"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(13 aprile 2014) Con la presentazione delle liste dei candidati si apre anche formalmente la campagna elettorale per le elezioni del Parlamento Europeo. Ci si aspetterebbe che in un simile contesto si parlasse dell'Europa e delle grandi questioni che l'attraversano come il lavoro o le politiche energetiche, del vento di destra e xenofobo che la percorre dalla Francia all'Ungheria, delle spinte secessionistiche che accomunano la Spagna e l'Ucraina passando per il Regno Unito e l'Italia, del rapporto con la Turchia e il Mediterraneo...
Può sembrare paradossale ma in realtà fin qui di Europa se n'è parlato poco e a vanvera: ancora una volta a tenere banco sono i problemi interni a ciascun paese e semmai di Europa se ne parla per dire che occorre difendersi dalle sue regole e dalla sua burocrazia, insomma come se fosse un problema anziché la chiave per una loro possibile risoluzione.
Tanto che Bruxelles è diventato il luogo in cui battere i pugni e far la voce grossa, farsi valere insomma, affermare che l'Italia non è lo scolaretto indisciplinato o altre amenità di questo tipo. A dimostrazione di come il soggetto nelle elezioni europee non sia il progetto politico europeo, bensì i singoli paesi e l'affermazione della loro sovranità. Quanto appare lontano il disegno di Ventotene quando Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni scrivevano «Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani».
Una distanza che ho misurato anche personalmente quando nel 2011, in occasione del settantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene, proposi al Consiglio Provinciale di andare a testimoniare (in maniera sobria e a spese di ciascun consigliere) la vicinanza della comunità trentina a quel pensiero proprio nell'isola dell'arcipelago pontino. Avremmo dato prova di una visione europea, saremmo stati accolti a braccia aperte, ma la proposta cadde nel vuoto dell'indifferenza e nell'aridità di pensiero connotata di antipolitica e, prima ancora, di ignoranza.
Voglio dire che l'Europa è ancora lontana dall'essere una visione politica ed è questo il motivo principale del mio diniego alla proposta che mi ha rivolto nei giorni scorsi il PD del Trentino di candidarmi nelle elezioni europee. Una visione politica “territoriale ed europea” che per la verità non trovo in alcuna delle proposte politiche che si confrontano in questo passaggio comunque cruciale nel futuro dell'Europa (e degli europei). Un sentire europeo che pure possiamo ritrovare nelle traiettorie di esperienze originali o nelle persone che della “cittadinanza euromediterranea” hanno fatto un loro motivo di impegno, dentro e fuori dei partiti. Ma la loro voce appare dissonante tanto nei confronti dei sostenitori di un'Europa condizionata dagli stati nazionali, quanto da chi contrappone la crescita all'austerità.
Potrei dire, senza falsa modestia, del mio stesso sentire che negli anni mi ha portato ad occuparmi di Europa dentro la tragedia che nel recente passato ha sconvolto il suo cuore balcanico, nel contrastare l'idea stessa di “scontro di civiltà” nella falsa contrapposizione fra oriente e occidente, nel lavoro di formazione sulla cittadinanza europea in una prospettiva federalista, nel cercare di declinare i nodi cruciali del lavoro, del welfare, dell'ambiente e del rapporto con l'uso delle risorse, della pace e dei diritti umani... in chiave europea.
Che questo sguardo europeo mi sia riconosciuto nella proposta di una candidatura, non può ovviamente che farmi piacere. Ma che di Europa nel campo democratico ci si occupi soltanto in prossimità della scadenza elettorale testimonia purtroppo di un ritardo culturale prima ancora che politico profondo, di una visione che ancora non c'è, di un congresso che di Europa non ha parlato come se potesse non essere all'ordine del giorno, di un arrivare tardi – anche nella proposta di una candidatura – rivelatore. Amo abitare le contraddizioni, ma non fare la coperta di Linus.
E' necessario ricostruire un pensiero europeo, proporre un racconto euromediterraneo che intrecci passato e presente, dare dignità alle esperienze che di un approccio “territoriale e sovranazionale” hanno fatto il loro tratto essenziale, immaginare che tutto questo diventi proposta sociale e politica. E' questo, posso dire, il tragitto di una navigazione personale e collettiva. La scuola di primavera che “Politica Responsabile” ha proposto nei primi giorni di maggio (ricordo che sono aperte le iscrizioni) ha proprio questo significato.
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