"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone
Italo Calvino, Le città invisibili
di Federico Zappini (www.pontidivista.wordpress.com)
E’ bene sottolineare una cosa. Stazione Futuro e Udu sono riusciti con il loro “Laboratorio cittadino” in una piccola/grande impresa: hanno portato a confrontarsi sul tema della città e delle sue prospettive future gli attori politici, sociali e culturali presenti sul territori. Certo mancava qualcuno ma per la prima volta – almeno che io ricordi – il tema della gestione dello spazio urbano di Trento è passato attraverso l’attivazione comune delle sue diverse anime e non dentro la classica separazione fatta di contesti d’interesse o competenza totalmente slegati tra loro. Il vigile urbano ha dialogato con lo studente, il barista con il sociologo e il promotore culturale, l’urbanista con il rappresentante dell’amministrazione comunale. Un primo passo importante verso la definizione di quegli Stati generali della città da molti invocati. Certamente uno stimolo concreto per farsi carico delle scelte che riguardano la riqualificazione urbana (e non solo) del capoluogo trentino.
Trento non è un deserto, ed è bene che sia chiaro a tutti coloro che la descrivono in modo stereotipato come una città morta. Negli ultimi anni sono cresciute, per numero e per qualità delle loro proposte, diverse oasi che punteggiano il panorama cittadino. All’opposto - e non va nascosto - sono ancora molti gli angoli aridi e le zone dimenticate. Dalla valorizzazione e messa in rete delle prime e da un’attenta mappatura e una riflessione sul destino delle seconde deve cominciare il “lavoro di rammendo urbano” che persino Renzo Piano propone come sfida necessaria e non più rimandabile per le nostre città. Lavorare sull’esistente, recuperare e riutilizzare, dare spazio alla creatività e alla voglia di sperimentare laddove altrimenti è l’abbandono a farla da padrone. Effettuare una ricognizione di ciò che c’è rinunciando a nuovi piani urbanistici espansivi, tenendo presente – come monito – l’insostenibile vastità dei contorni urbani di Trento, figlia di un’ipotesi di città non proprio aderente a quella che bene descrive Richard Rogers nel libro “Città per un piccolo pianeta”. Compatta, sostenibile, vissuta; capace di rispettare la definizione che Luis Kahn offriva di città come “luogo dove un ragazzino, camminandoci, può vedere qualcosa che gli dirà cosa vuol fare per tutta la sua vita.” Ecco quindi le linee guida, generalissime ma allo stesso tempo sufficientemente chiare, da cui prendere spunto e proseguire in un percorso comune.
Da dove cominciare? Io propongo tre piste di lavoro, parallele e complementari. Uno. Dare continuità al “Laboratorio Cittadino” che domenica ha preso il via, rafforzandolo e allargandone ulteriormente i confini alla partecipazione ad altre sensibilità e professionalità. Potrebbe essere il luogo della coprogettazione e della condivisione di quelli che potremmo chiamare “codici urbani”. Due. Procedere ad una mappatura degli spazi cittadini inutilizzati o sottoutilizzati; siano essi pubblici o privati, chiusi o aperti, con possibili finalità abitative, commerciali o aggregative. Da questa “fotografia” nascerebbe immediatamente la possibilità di immaginare buone pratiche per il riuso e con esse una rinnovata attivazione della comunità e dei cittadini. Tre. A ridosso del quarantesimo anniversario dall’occupazione del Parco di S.Chiara (giugno 1975) per evitarne la distruzione, ricominciare simbolicamente dallo stesso luogo la riqualificazione della città. Chiedere che l’ex Lazzareto (nonché ex mensa della Facoltà di Lettere) diventi un Urban Center capace di essere incubatore di idee, vetrina di progetti, occasione di incontro e promozione culturale e rappresenti un esperimento di riutilizzo di uno spazio – da anni in disuso – realizzato da diversi soggetti che guardino a questa possibilità da molteplici punti di vista.
Mi rendo conto di aver parlato quasi esclusivamente di urbanistica e spazi, tralasciando gli altri temi che nei workshop sono stati trattati, ma credo che prima di avventurarsi nell’aggettivazione della città di Trento (giovane/vecchia, aperta/chiusa, accogliente/respingente, rumorosa/silenziosa, ecc.) sia necessario analizzarne i limite e le potenzialità, descriverne i contorni, oltre che ovviamente condividere linguaggi e immaginari utili a descrivere una reale trasformazione della città, in ogni declinazione che essa può successivamente assumere. Domenica è stata posta la prima pietra per muoversi in questa direzione, per porre un argine al deserto che avanza e per dare forma alla città che sarà. La strada è quella giusta, bisogna decidere insieme il prossimo passo.
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