"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Osservo, seppure con un certo distacco, le vicende politiche italiane e avverto una distanza profonda non tanto o solo nelle singole scelte ma nell'approccio di fondo con cui il governo Renzi affronta le grandi questioni del nostro tempo, in primo luogo quella che la classe dirigente di questo paese continua a chiamare “crisi” e che altro non è – come vado sostenendo da tempo – se non un nuovo contesto. Nel quale le formule keynesiane di rilancio dei consumi appaiono del tutto inadeguate scontrandosi con il carattere limitato delle risorse e con l'uso dissennato e insostenibile che ne abbiamo fatto nel corso degli ultimi decenni. Con l'effetto di portare questo pianeta, per la prima volta nella storia dell'umanità, a consumare più risorse di quelle che gli ecosistemi riescono a produrre.
In questo nuovo scenario si intravvedono fondamentalmente due strade, profondamente diverse fra loro tanto sul piano economico e sociale quanto su quello etico e morale. La prima è quella del diritto naturale e rivendica la “non negoziabilità” degli stili di vita acquisiti. E' all'origine della divisione del mondo fra inclusione ed esclusione. I suoi effetti li abbiamo già conosciuti nel ricorso alla guerra per il controllo delle materie prime, dell'acqua e della terra, compiute in nome dello “scontro di civiltà”. La seconda è quella che, a partire dal diritto all'esistenza e alla dignità di ognuno degli abitanti del pianeta, si propone una riconsiderazione del modello di sviluppo – palesemente insostenibile – fondato sulla crescita illimitata. Un uso sobrio e intelligente, dunque riproducibile, delle risorse nella valorizzazione dell'unicità dei territori... Quel “fare meglio con meno” che – fra l'altro – titolava la mia proposta programmatica per il Trentino.
Devo rilevare come queste due strade non corrispondano affatto alla divisione fra i vecchi schieramenti novecenteschi, entrambi figli della medesima cultura positivistica, indicando piuttosto la necessità di un nuovo pensiero capace di interpretare ed interagire con il presente.
E' del tutto inutile e fuorviante attardarsi ad aspettare una ripresa che non ci sarà o distribuire denari per rilanciare i consumi che sono parte del problema, non la soluzione. Serve un approccio radicalmente diverso che dia senso alle cose vere, una consapevolezza diffusa del carattere cruciale di questo passaggio di tempo, una classe dirigente in grado di assumersi la responsabilità di dire come stanno le cose anziché ricercare affannosamente il consenso. Una diversa progettualità politica, territoriale ed europea.
In questa direzione va il mio impegno, lungo le strade della ricerca, della formazione e – se ce ne saranno le condizioni – dell'azione politica originale.
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