"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

La controriforma delle Comunità di Valle

Autogoverno in Europa

di Michele Nardelli

(26 settembre 2014) L'accordo raggiunto nella maggioranza di centrosinistra autonomista per la riforma delle Comunità di Valle rappresenta un'evidente forzatura del programma di coalizione. In particolare, con l'eliminazione dell'elezione diretta delle Comunità da parte dei cittadini, ne viene indebolito il ruolo politico svilendo così di significato la riforma istituzionale del 2006.

Quella riforma aveva rappresentato uno degli atti politici più significativi della XIII legislatura provinciale. La legge 3/2006 “Norme in materia di governo dell'autonomia del Trentino” prevedeva infatti il trasferimento di una parte importante delle funzioni amministrative in capo alla PAT e ai Comuni verso le Comunità di Valle, con il duplice scopo di alleggerire la Provincia nel delicato passaggio verso l'autonomia integrale con l'acquisizione di nuove competenze (accordo di Milano) e di snellire i Comuni evitando la frammentazione e la proliferazione di luoghi decisionali.

Più Comunità, meno Provincia: era questo il significato della riforma istituzionale che avrebbe dovuto modificare l'assetto di governo della nostra autonomia.

A questo profondo cambiamento avrebbe dovuto corrispondere il riordino dell'apparato provinciale con la riduzione dei dipartimenti (e dei dirigenti) e con l'affermarsi di un approccio multidisciplinare in grado di orientare più efficacemente le politiche e attuare la tanto auspicata semplificazione amministrativa. Analogamente, il passaggio di competenze dai Comuni alle Comunità di Valle, avrebbe ridotto gli apparati comunali (e i relativi costi), assegnando ai Comuni un ruolo diverso, improntato prevalentemente alla coesione sociale e culturale.

Le Comunità di Valle sarebbero così diventate lo snodo centrale nel nuovo assetto politico amministrativo provinciale e questo comportava necessariamente una legittimazione di natura politica attraverso l'elezione diretta da parte dei cittadini.

Questo era il disegno. Un cambiamento profondo che richiedeva partecipazione e condivisione per superare gli inevitabili conservatorismi, i poteri d'apparato cui venivano sottratte competenze, gli interessi diffusi tanto nelle pieghe della burocrazia quanto nel voto di scambio. Resistenze che infatti si sono immediatamente manifestate, trovando sponda in una politica sempre più debole e alla ricerca di facile consenso. Anche l'esito del referendum abrogativo dell'aprile 2012 – nel quale peraltro la stragrande maggioranza dei trentini (il 72,63%) scelse di disertare le urne (o di votare no all'abrogazione) – non è servito a superare il clima di progressiva delegittimazione, che si andava sommando ai problemi oggettivi che l'applicazione di una riforma di questa importanza porta sempre con sé. Il tutto con la spada di Damocle di una Corte Costituzionale poco incline alla sperimentazione istituzionale e all'autogoverno.

Come spesso accade, le rivoluzioni fatte a metà, si scavano la fossa. Così il Patt, partito da sempre ostile verso le Comunità, sceglie l'affondo e porta a casa la fine della loro elezione diretta. Chi nel PD ha considerato le Comunità di Valle come una creatura dellaiana e non ha mai considerato l'esistenza di 217 Comuni come uno dei fattori positivi che hanno fatto da diga allo spaesamento, trova motivo per cantare vittoria. Mentre all'UpT, smarrito il senso della riforma e orfano del padre, altro non rimane che fare di necessità virtù. Anche l'accorpamento dei Comuni, in questa chiave, altro non è che lo strumento per svuotare oltremodo le Comunità.

La riforma delle istituzioni della nostra autonomia è stata nei fatti prima paralizzata ed ora sterilizzata. Il passaggio delle funzioni verso le Comunità, la pianificazione strategica territoriale, la riorganizzazione dell'apparato provinciale... semplicemente arenate.

Il nuovo corso provinciale mette così a segno un altro capitolo nello smantellamento di quell'anomalia politica che per vent'anni ha fatto diversa questa terra. Dovremmo almeno esserne consapevoli.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da roberto il 27 settembre 2014 19:34
    caro Michele,
    sottoscrivo ogni parola. Se posso aggiungere qualcosa posso dire che il PATT ha mandato allo sbaraglio, delegittimandoli, anche i suoi presidenti (penso alla Rotaliana ed alla Val di Cembra,ad es.).Ma devi tenere conto che in questi pochi anni sembra che sia "cambiato il mondo" e gli stessi che hanno sostenuto la riforma (penso al PD) sì sono dimenticati di.... loro stessi ( ma non sarebbe la priva volta da quelle parti, vero?)
    Aggiungo e concludo che anche a livello delle strutture comunali, a cominciare da molti segretari comunali - nei comuni piccoli veri sindaci "ombra" -hanno remato contro o almeno non hanno certo spinto...
    Pazienza, facciamocene una ragione.
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