di Federico Zappini
(15 novembre 2014) Oggi sarà inaugurata la “nuova” Piazza Dante e – al netto delle lungaggini e dell’impossibilità di un giudizio definitivo prima di viverla davvero – si tratta di una buona notizia. Sono passati diversi anni da quando partecipai (con molti altri) alla serata di presentazione del progetto comunale, portando la richiesta - forse brusca nella forma, ma certamente appassionata e sincera – che si tenesse in considerazione oltre alla dimensione architettonica e spaziale anche quella sociale. L’altra metà della piazza. Certo la riqualificazione dei vialetti, la bonifica del lago, lo sfoltimento delle piante, la destinazione a gelateria della bellissima Palazzina Liberty; ma come non interrogarsi sull’efficacia di tali interventi se poco più in là – appena oltre i limiti temporanei del cantiere - incrociamo fenomeni di marginalità grave sempre più marcati, percepiti e spesso mal sopportati.
Il confine - sempre più sfumato e permeabile - fra “centro” e “margini” salta agli occhi all’ombra di Dante con maggior forza nei giorni in cui la cronaca locale racconta della morte di un senzatetto, carbonizzato nell’incendio del suo riparo di fortuna nella prima collina della città. Piazza Dante è solo la manifestazione a noi più prossima di un contesto (politico, culturale e più in generale delle relazioni umane) che fatica a farsi carico in maniera articolata e responsabile delle situazioni di diffusa esclusione e criticità sociale. L’altra metà della piazza è oggi epicentro dello scontro, non solo politico.
Un campo rom diventa quindi triste palcoscenico per la propaganda razzista e – perché nessuno è disponibile ad abbassare i toni, a cercare altre strategie di confronto – per un antagonismo orgogliosamente rancoroso, muscolare, persino minaccioso. Sulle case popolari, e rispetto alla loro occupazione - da parte di chi ne ha effettivo bisogno, ma anche di chi ha trasformato questa pratica in racket – si consuma una battaglia feroce, fatta di sgomberi e intimidazioni, di intransigenza ideologica e assenza di pianificazione. Nei quartieri periferici (in queste notti è tristemente famosa Tor Sapienza, a Roma) si acuiscono le tensioni nel momento in cui scompare il ruolo di mediazione della politica e si trovano, uno contro l’altro, pezzi di società che affondano le proprie storie di vita in un preoccupante senso di precarietà, frustrazione e paura. E’ sempre l’altra metà della piazza ad essere protagonista (spesso suo malgrado) di ognuna di queste situazioni, dentro il vortice indistinto di una rabbia dai tratti estremi, il progressivo sgretolamento dei legami di comunità, l’uso a fini politici del dolore e della sofferenza.
Questa mattina – una volta tolte le grate poste a protezione dei lavori – Piazza Dante tornerà ad essere una soltanto, così come dovrebbe essere la città in cui viviamo. Una e allo stesso tempo molteplice; vista la moltitudine di parzialità, di differenze, di contraddizioni che vi trovano spazio. L’altra metà della piazza - che suscita in noi sentimenti antitetici: repulsione preconcetta o solidarietà quasi ideologica, al limite dell’obbligo morale - è l’indicatore attraverso il quale verificare la nostra capacità di produrre coesione sociale. E’ nella complessità di saper stare intelligentemente dentro conflitti tanto aspri da sembrare insormontabili che si determinano le condizioni migliori per attivare processi di ricomposizione di comunità. E’ nell’affermazione di un nuovo paradigma di uguaglianza - mix di opportunità, relazioni e responsabilità collettiva – che riacquista significato il tema della cittadinanza. E’ nel saper costruire la città sulla base di valori e obiettivi “in positivo” – piuttosto che in opposizione, per opportunismo o addirittura conservatorismo – che si riescono ad offrire risposte ai bisogni più disparati e contraddittori che provengono da un corpo sociale sempre più frammentato e confuso. Osservare l’altra metà della piazza significa rivolgere lo sguardo verso noi stessi, i nostri limiti e le sfide che ancora ci attendono, sperando di essere ancora capaci di coglierle.
Articolo pubblicato sul Corriere del Trentino sabato 15 novembre 2014