"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(9 dicembre 2014) Una profonda crisi della cultura sistemica. Siamo una società liquida che rende liquefatto il sistema. Senza ordine sistemico, i singoli soggetti sono a disagio, si sentono abbandonati a se stessi, in una obbligata solitudine: vale per il singolo imprenditore come per la singola famiglia. Tale estraneità porta a un fatalismo cinico e a episodi di secessionismo sommerso, ormai presenti in varie realtà locali.
La società delle sette giare. La profonda crisi della cultura sistemica induce a una ulteriore propensione della nostra società a vivere in orizzontale. Interessi e comportamenti individuali e collettivi si aggregano in mondi non dialoganti. Non comunicando in verticale, restano mondi che vivono in se stessi e di se stessi. L'attuale realtà italiana si può definire come una «società delle sette giare», cioè contenitori caratterizzati da una ricca potenza interna, mondi in cui le dinamiche più significative avvengono all'interno del loro parallelo sobollire, ma senza processi esterni di scambio e di dialettica. Le sette giare sono: i poteri sovranazionali, la politica nazionale, le sedi istituzionali, le minoranze vitali, la gente del quotidiano, il sommerso, il mondo della comunicazione.
I poteri sovranazionali. Siamo sempre più condizionati dal circuito sovranazionale, senza che mai corrisponda alle aspettative collettive. La finanza internazionale si regola e ci regola attraverso lo strumento del mercato con procedure che vivono di vita propria, senza innervare una reale dialettica con le realtà nazionali. E le autorità comunitarie, con i vincoli cui sono sottoposti gli Stati (direttive, controlli, parametri, patti di stabilità, fiscal compact), comportano una crescente cessione di sovranità (quasi una sudditanza), che spinge a un crescente egoismo nazionale e a un continuo confronto duro sui relativi interessi.
La politica nazionale. Non riuscendo a modificare i circuiti di potere sovraordinato, la politica è riconfinata nell'ambito nazionale, con la reazione di rilanciare il primato della politica. In una società molto frammentata e molecolare si era creato un vuoto di decisionalità e di orientamento complessivo. Su questo vuoto si è costruita un'onda di rivincita sulla rappresentanza, sui corpi intermedi, sulle istituzioni locali, stimolando così una empatia consensuale. Ma il primato della politica rischia di restare senza efficacia collettiva, a causa della perdita di sovranità verso l'alto e non avendo potere reale verso il basso, perché la volontà decisionale e la decretazione d'urgenza supportata dai voti di fiducia non sempre riescono a passare all'incasso sul piano dell'amministrazione corrente e dei comportamenti collettivi. La politica rischia di restare confinata al gioco della sola politica.
Le istituzioni. Vivono in una dinamica tutta loro: abbiamo grandi enti pubblici vuoti di competenze il cui funzionamento è appaltato a società esterne di consulenza o di informatica, personale pubblico (anche giudiziario) che sente la tentazione di fare politica o passa a occupare altri ruoli (di garanzia o di gestione operativa), un costante rimpallo delle responsabilità fra le diverse sedi di potere, rincorse infinite fra decisioni e ricorsi conseguenti. La giara sobolle in piena inefficacia collettiva.
Le minoranze vitali. I medio-piccoli imprenditori concentrati sull'export e sulla presenza internazionale nel manifatturiero, ma anche nell'agroalimentare, nel turismo, nel digitale, nel terziario di qualità, costituiscono un insieme variegato che si è rivelato molto competitivo. Tendono però a non fare gruppo. Preferiscono vivere ancorati alle loro dinamiche aziendali, con una durezza della competizione che alimenta il loro gene egoista, riducendo le relazioni verso l'esterno. I vari protagonisti si sentono poco assistiti dal sistema pubblico, così aumenta il loro congenito individualismo e si riducono le loro appartenenze associative e di rappresentanza.
La gente del quotidiano. È un altro mondo che vive di se stesso. Qui non c'è mobilità verticale, né perseguita singolarmente, né espressa in aggregazioni intermedie (sindacali, professionali, sociali). C'è una sospensione delle aspettative. È un terreno dove possono incubarsi crescenti diseguaglianze e imprevedibili tensioni sociali. Emerge solo la voglia dei nuovi diritti nella sfera individuale, con rivendicazioni soggettive (il diritto di avere un figlio anche in età avanzata, alla dolce morte, ad avere un matrimonio di tipo paritario) che però riguardano una minoranza attivista incapace di indurre grandi trasformazioni sociali, come era invece avvenuto negli anni '70 (anni di grandi battaglie sui diritti, ma anche di grandi desideri collettivi).
Il sommerso. Consente a famiglie e imprese di reggere, è il riferimento adattativo di milioni di italiani. C'è una recrudescenza della propensione di tutti a nascondersi, proteggersi e sommergersi, che riguarda l'occupazione, la formazione del reddito, la propensione al risparmio, anch'esso sommerso, in nero, cash. Il mondo del sommerso rinforza così l'estraneità alle generali politiche di sistema.
I media. Incardinati al binomio opinione-evento, i grandi media si allontanano dal rigoroso mandato di aderenza alla realtà e di sua rappresentazione. E i media digitali personali rispondono sempre più alla tendenza dei singoli alla introflessione. La pratica diffusa del selfie è l'evidenza fenomenologica della concezione dei media come specchi introflessi piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con esso.
La politica sia arte di guida. Le sette giare vanno connesse tramite una crescita della politica come funzione di rispecchiamento e orientamento della società, come arte di guida e non coazione di comando, riprendendo la sua funzione di promotore dell'interesse collettivo, se si vuole evitare che la dinamica tutta interna alle sette giare porti a una perdita di energia collettiva, a una inerte accettazione dell'esistente, al consolidamento della deflazione che stiamo attraversando. Una deflazione economica, ma anche delle aspettative individuali e collettive, della mobilità verticale individuale e di gruppo, della rappresentanza degli interessi, della capacità di governo ordinario (malgrado la proliferazione decretizia di tipo verticistico). E di fronte al problema del capitale inagito del Paese, il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, richiama le parole del frate francescano Bernardino da Feltre: «Moneta potest esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale». È la prima volta che il termine «capitale» con logica di «moneta movimentata» entra nella cultura occidentale, qualche secolo prima di Marx e di Weber: se le risorse liquide non si movimentano, restano sterili, sono solo cose.
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