"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Tempi interessanti (9)
di Michele Nardelli
Colgo una profonda distanza fra la realtà e la sua rappresentazione politica e istituzionale. No, non intendo dire che ci sia un paese legale incapace di rappresentare il paese reale. Anzi, penso che per certi versi lo rappresenti benissimo. La nebbia è bella densa e diffusa, nessuno si può chiamare fuori. E ciò nonostante fa specie che i luoghi che dovrebbero proporsi di alzare lo sguardo volino radenti, incapaci di delineare futuro. Mi spiego con alcuni esempi.
Con grande enfasi si celebra il centenario dell'inizio della prima guerra mondiale. Qualcuno sta addirittura pensando di far rivivere le gesta eroiche del Piave, fra sacrari privi di umanità, fanfare nostalgiche e rituali militareschi. Nemmeno ci si accorge che negli stessi luoghi del massacro di cent'anni fa sferragliano i carri armati e, in nome di un confine o di una bandiera, si bombardano le città e ricompaiono i pogrom. Incuranti del fatto che anche all'inizio del Novecento (come sul finire del secolo breve) i pretesti sembravano lontani e nessuno avrebbe mai immaginato un esito tanto tragico (16.722.000 di morti secondo le stime ufficiali, ben più nella realtà). Della memoria si fa scempio o richiamo retorico e i fascismi rinascono ovunque.
Il Presidente del Consiglio, preso dal fervore dell'orgoglio nazionale e dal delirio del “partito della nazione”, indica l'Italia come «un faro di civiltà nel mondo». Poco importa che il giorno precedente centinaia di profughi caricati a forza su improbabili imbarcazioni nel mare di febbraio finiscano in fondo agli abissi o muoiano di freddo nell'indifferenza quasi generale. E che questa infamia prosegua ininterrottamente da anni, investendo nella solidarietà un'infinitesima parte di quel che si spende per armamenti ed eserciti nazionali che non servono ad un fico secco se non ad alimentare tangenti. L'esito di questa “civiltà” è presto detto: nell'arco di quindici anni sono circa 27.000 le persone che hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo.
A proposito di civiltà... Dobbiamo molto di quel che siamo e di quel che sappiamo agli intrecci che lungo la storia hanno attraversato il Mediterraneo. In particolare siamo debitori verso gli arabi della conoscenza della matematica (quelli che usiamo non sono forse numeri arabi?) e dell'algebra (un termine che deriva da un libro straordinario che s'intitola Kitab al-Jebr scritto da un tale che si chiamava Muhammad ibn Mūsa al-Khwārizmi, il padre dell'algebra); dell'alchimia (ovvero della chimica moderna) le cui conoscenze di base sono dovute all'opera di uno studioso (Geber l'alchimista) il cui vero nome era Jābir ibn Hayyān; per non parlare della medicina, dell'astronomia, della fisica ed anche della filosofia, considerato che la nostra conoscenza di Aristotele e di Platone avvenne grazie alla traduzione dal greco antico all'arabo in quel di Damasco nel VII e VIII secolo. Eppure sono venticinque anni che il vicino Oriente è oggetto della nostra civile attenzione fatta di guerra per il controllo delle risorse petrolifere camuffata da “scontro di civiltà”. O ci siamo forse dimenticati che se oggi i moderni tagliagole controllano la Libia lo si deve in larga misura ai bombardamenti della Francia e della Nato (Italia compresa) di tre anni fa?
E sempre a proposito di civiltà... Come è noto, dobbiamo molto alla Grecia. Ma questo non impedisce a qualcuno di pensare che l'Europa possa farne a meno, come se il debito di un paese di dieci milioni di abitanti (che rappresenta meno del 2% del PIL dell'Unione) fosse più rilevante del nostro debito culturale verso questo paese (senza contare quello, tutt'altro che irrilevante, dei diciassette anni di dittatura militare sostenuta dall'Alleanza Atlantica). La richiesta del nuovo governo Tsipras, peraltro, non è la cancellazione del debito (tema non banale che in un contesto di dominio della finanza globale andrebbe preso in considerazione), bensì una sua ristrutturazione... cosa ragionevole che però si scontra con il fondamentalismo liberista.
Fra settantasette giorni verrà inaugurata in pompa magna Expo 2015, l'esposizione universale dedicata ad un tema cruciale: “Nutrire il pianeta”. Dal 1 maggio al 31 ottobre Milano diventerà «una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri». Peccato che la soglia della sostenibilità globale sia stata superata da un pezzo (il primo anno in cui il pianeta ha cominciato a consumare più di quel che gli ecosistemi riescono a produrre è stato il 1987) e che nel 2014 l'Overshoot Day, il giorno nel quale si terminano ufficialmente le risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare nell'arco di 365 giorni, è stato il 19 agosto1. Questo significa in soldoni che in meno di otto mesi abbiamo fatto fuori la scorta di dodici e per il resto dell'anno dovremo vivere a sbafo. Consumando beni naturali che il nostro pianeta non è in grado di rigenerare, tagliando foreste che servono a riossigenare l'aria che respiriamo, pescando pesci che nei nostri mari già scarseggiano, prelevando acqua da fonti che non si ricaricano. Eppure il problema sembra essere quello di come rilanciare i consumi. Sarà un'occasione per vendere o per riflettere? La fiera della sostenibilità o quella dell'ipocrisia?
Fra i tanti paradossi possibili del nostro tempo, uno ci riguarda da vicino. Per vent'anni il Trentino non solo è stata l'unica regione dell'arco alpino a non finire preda dello spaesamento e della paura, ma ha saputo essere – pur fra mille contraddizioni – terra di sperimentazione sociale e politica originale, sapendo utilizzare con intelligenza le proprie prerogative autonomistiche. Eppure oggi sembra prevalere, negli stessi partiti che di quella stagione sono stati protagonisti come in parte dell'opinione pubblica, il vento dell'omologazione. Il nuovo corso provinciale, in poco più di un anno, è riuscito a demolire la riforma istituzionale fondata sulle comunità di valle, ovvero su una dislocazione verso il territorio dei poteri; cancellato quattro anni di pianificazione strategica territoriale e il disegno di riforma della più importante società di sistema (Trentino Sviluppo); sterilizzato le leggi di riqualificazione dell'agricoltura e sull'educazione alimentare; ridimensionato l'attività di ricerca e bloccato il processo di cablaggio dell'intero territorio trentino; svilito un sistema culturale di prim'ordine che in questi anni (dal Mart al Muse, dal Castello del Buonconsiglio al Museo storico del Trentino...) è stato essenziale anche nella riqualificazione dell'offerta turistica; svuotata ed aggirata dal neocentralismo la legge sull'autonomia scolastica e inapplicata quella sull'apprendimento permanente; per non parlare del venir meno di quell'attenzione alla dimensione globale e all'interdipendenza che si riscontra nell'indifferenza verso gli ambiti macroregionali europei e nel ridimensionamento verso i temi cruciali come la ricerca sulla pace... Non basta?
In un tempo che non sa interrogarsi sul futuro, la domanda che mi viene da rivolgere alla politica è semplice e richiama antichi amori: com'è che non riesci più a volare?
1 Il Global Footprint Network ci ricorda che i giorni dell'overshoot dal 1987 ad oggi sono progressivamente cresciuti: nel 1987 era il 19 Dicembre; 1990 - 7 Dicembre; 1995 - 21 Novembre; 2000 - 1 Novembre; 2005 - 20 Ottobre; 2007 - 26 Ottobre; 2008 - 23 Settembre; 2009 - 25 Settembre; 2010 - 21 Agosto; 2011 - 27 Settembre; 2012 - 22 Agosto; 2013 - 20 Agosto; 2014 - 19 Agosto.
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