"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Andalusia, un voto fra conservazione e cambiamento

I leader di Podemos, Andalusia

(24 marzo 2015) Il primo appuntamento elettorale del 2015 ha confermato i pronostici degli analisti politici: il bipartitismo, che ha governato la Spagna dal 1982, è in crisi (ma non troppo) e i nuovi attori politici (Podemos e Ciudadanos) entrano nello scacchiere politico per rimanerci e per contare. La forza di Iglesias si attesta ad un buon 15 per cento in attesa del voto nazionale di novembre dove i sondaggi la danno in testa.

di Steven Forti *

“Il PSOE prende ossigeno, Podemos si consolida e il PP crolla”. Questo il titolo di Público, giornale on line vicino al partito guidato da Pablo Iglesias. El País evidenzia invece “la solida maggioranza” della socialista Susana Díaz, mentre El Mundo mette in luce che il “calcio” di Podemos al sistema è “forte”, ma non “rompe lo scacchiere politico”. C’è del vero in tutte e tre le letture.

Il PSOE, guidato dalla presidentessa uscente della Junta andalusa Susana Díaz, vince con ampio margine (47 seggi, pari al 35,4% dei voti), sbaragliando un PP che dimostra di pagare cara la legislatura di Rajoy segnata dalla profonda crisi e dalle durissime politiche di austerity. La tanto sbandierata crescita economica (+1,4 nel 2014, +2,3 previsto per il 2015) non ha fatto dimenticare agli elettori l’altissima disoccupazione (oltre il 23% da quattro anni), gli sfratti per mutui ipotecari e i pesanti tagli allo stato sociale. Juan Manuel Moreno Bonilla porta il PP al suo peggior risultato degli ultimi 25 anni (da 50 a 33 seggi, pari al 26,7% dei voti). Podemos è la terza forza politica: 15 deputati al Parlamento andaluso e il 14,8% dei voti. Ciudadanos pare consolidarsi come quarta forza ottenendo ben 9 deputati (9,3% dei voti), mentre Izquierda Unida riesce a malapena a mantenere il gruppo parlamentare (da 12 a 5 deputati, pari al 6,9% dei voti). Il resto delle forze, tra cui anche la centrista UPyD dell’ex socialista Rosa Díez, letteralmente divorata da Ciudadanos, non ottiene rappresentanza parlamentare.

Se studiamo con maggiore attenzione i risultati elettorali ci rendiamo conto di alcune cose interessanti, soprattutto per quel che queste elezioni possono significare nel futuro della politica spagnola. Innanzitutto, rispetto a non pochi pronostici e rispetto alle elezioni europee del maggio scorso, il bipartitismo PP-PSOE mostra molte crepe, ma tiene ancora: se nel 2012 i due grandi partiti avevano ottenuto oltre l’80% dei voti (e solo tre erano stati i partiti con rappresentanza nel Parlamento regionale), ieri hanno sommato il 62%. Alle europee del maggio scorso non avevano raggiunto il 50%, ma sappiamo che le “regole” di europee e amministrative sono ben diverse. Altra cosa sarà vedere il panorama spagnolo il prossimo 24 maggio, quando tredici regioni e tutti i comuni andranno al voto, e, soprattutto, il prossimo mese di novembre, quando ci saranno le politiche generali.

Un altro punto di non secondaria importanza: i sondaggi d’opinione – ben più degli exit poll – si dimostrano piuttosto affidabili. Il sondaggio di Metroscopia ad una settimana dal voto ha offerto un quadro molto vicino ai risultati di ieri: due seggi in meno ai socialisti, tre in meno ai popolari, tre in più a Ciudadanos e IU (ma sulle percentuali l’errore è stato nell’ordine dell’1-1,5%), mentre ha centrato perfettamente il risultato di Podemos, che era il fattore X di questo appuntamento elettorale. Se si mantenesse questa affidabilità anche per gli altri sondaggi, si dimostrerebbe la possibile “rivoluzione” del panorama parlamentare e politico spagnolo durante questo 2015. Secondo la stessa Metroscopia, se si fosse votato a inizio marzo alle politiche generali, Podemos avrebbe ottenuto il 22,5% dei voti, il PSOE il 20,2%, il PP il 18,6% e Ciudadanos il 18,4%. Ossia, da un bipartitismo si passerebbe a un quadripartitismo con gli annessi e connessi sulla difficoltà di trovare una formula per la governabilità del paese.

Governabilità tra l’altro che non è scontata nemmeno nel caso andaluso: a Susana Díaz mancano otto voti per la maggioranza nel parlamento regionale. Nella scorsa legislatura, conclusa anticipatamente proprio per la scelta della stessa Díaz, i socialisti governavano con IU, un’alleanza ora impossibile per la débacle del partito guidato dal giovane Alberto Garzón. La cosa più probabile è, come ha dichiarato Díaz la notte di domenica, che il PSOE governarà in minoranza, cercando probabilmente l’appoggio esterno di Ciudadanos (9 deputati), che si converte nell’ago della bilancia. Albert Rivera ha dichiarato che non appoggerà il PSOE, ma è bene non dimenticare che il suo candidato in Andalusia, Juan Marín, è stato vicesindaco nel comune di Sanlúcar de Barrameda in alleanza proprio con i socialisti. Nelle prossime settimane ci sarà maggiore chiarezza, ma pare impossibile un patto o anche un semplice accordo tra PSOE e Podemos o tra PSOE e PP: tutti i partiti pensano ai prossimi appuntamenti elettorali e una scelta di questo tipo sarebbe deleteria sia per i popolari sia per Podemos.

Le tante peculiarità dell’Andalusia

Trarre dai risultati andalusi delle conclusioni valide per tutto il paese iberico è possibile solo fino a un certo punto. L’Andalusia ha molte peculiarità. Seconda regione per estensione e prima per popolazione (8,4 milioni di abitanti, pari al 18% della popolazione spagnola), ha tassi di disoccupazione più alti di quelli greci (34%), arrivando nella provincia di Cadice a picchi del 42%, paragonabili a quelli della striscia di Gaza. Inoltre, è governata ininterrottamente da 33 anni dai socialisti e lo sarà, probabilmente, per altri quattro anni. Con la fine dello zapaterismo e gli effetti economici, sociali e psicologici della crisi, il PSOE si è convertito sempre di più nel grande partito del sud spagnolo: a livello statale nell’ultimo lustro ha perso voti, province, regioni e ben 40 mila iscritti.

In Andalusia, nonostante alcuni importanti casi di corruzione, come lo scandalo degli ERE che ha coinvolto la stessa Junta andalusa – sono imputati i due ex governatori socialisti Manuel Chaves e José Antonio Griñan – e i grandi sindacati, UGT e CC.OO, il PSOE ha tenuto: ha confermato i 47 deputati eletti nelle regionali del 2012, ha perso “solo” il 4% dei voti, pari a 120 mila elettori e Susana Díaz, che aspira a diventare il nuovo leader dei socialisti spagnoli, scalzando Pedro Sánchez (prima o dopo l’estate?), ha dimostrato di essere un osso duro, amata da buona parte degli andalusi per quel suo essere alla mano (rivendica continuamente il suo essere figlia di un idraulico) e sostenuta da parecchi “baroni” socialisti, inclusi gli ex presidenti Felipe González e José Luis Rodríguez Zapatero. La rete politica e clientelare socialista ha tenuto, soprattutto nelle campagne, in quella che è l’unica regione in cui non c’è mai stata alternanza tra i due grandi partiti dalla fine del franchismo.

La sconfitta dei popolari è completa. Se nel marzo 2012 il PP era stato a un nonnulla dal farsi con il governo regionale (fu il primo partito con il 40,7% dei voti), ora si trova con un bilancio più che preoccupante: oltre 500 mila voti persi in soli tre anni e l’esser passato da primo a secondo partito in sette su otto province (mantiene solo la “levantina” Almeria). Graficamente: un votante su tre ha deciso di non concedergli la propria fiducia. A Malaga ha perso 100 mila voti, a Siviglia ben 120 mila. L’analisi a caldo dell’entourage di Rajoy è stata chiara: bisogna cambiare strategia quanto prima e ripensare il ruolo e il rapporto con Ciudadanos, che ha ottenuto 369 mila voti, un risultato importante in una regione dove alle europee di maggio il nuovo partito di centro-destra non aveva ottenuto nemmeno 50 mila voti. Voti che, detto en passant, vengono, tutti o quasi, da ex votanti el PP delusi.

Ciudadanos e Podemos

Ciutadans/Ciudadanos, partito nato in Catalogna nel 2006 e guidato dal giovane e telegenico Albert Rivera (35 anni) ha subito una rapida deriva che lo ha portato da una posizione di centro-sinistra critica con il nazionalismo catalano a una posizione di destra liberal e apparentemente progress, basata sul discorso del “né destra né sinistra” e della lotta alla corruzione e su un programma neoliberista infiorettato di belle parole, preparato dagli economisti Manuel Conthe e Luis Garicano. Ciudadanos lo si è definito, non del tutto a torto, un Podemos di destra, progetto caldeggiato dalla destra economica e mediatica spagnola dopo l’exploit del partito di Pablo Iglesias alle europee 2014.

Il risultato di Podemos è forse inferiore alle aspettative, anche se i sondaggi lo avevano detto chiaramente: 15 deputati e poco meno del 15% dei voti e così è stato. L’Andalusia è una delle regioni dove più difficile è l’ingresso e il consolidamento di nuove forze politiche. Per di più l’intelligente anticipo elettorale voluto da Susana Díaz – per battere il PP e frenare Podemos – ha preso in contropiede il giovane partito che a sud di Despeñaperros non disponeva ancora di una solida struttura regionale. Il risultato è comunque notevole: 590 mila voti, più del doppio di quelli ottenuti nella regione alle europee di maggio. Da dove provengono questi voti? Buona parte dai 120 mila e dai 164 mila voti persi, rispettivamente, dal PSOE e da IU. Un’altra parte dall’astensione (che resta ancora il primo partito con il 36,06%): ha votato il 3% in più rispetto al 2012, poco meno di 200 mila persone. Alcuni, sicuramente, anche dal mezzo milione di voti persi dal PP. In ogni caso, come ha affermato la notte elettorale Sergio Pascual, dirigente di Podemos, “il cambio non è solo quantitativo, ma anche qualitativo”. E i risultati di domenica segnano indubbiamente un cambio qualitativo del quadro politico andaluso.

Per di più, la candidata di Podemos, la ex eurodeputata Teresa Rodríguez, rappresenta l’ala più a sinistra del nuovo partito: proveniente da Izquierda Anticapitalista (IA) si è sempre dimostrata critica con la linea di Pablo Iglesias. Enric Juliana, vicedirettore del quotidiano conservatore La Vanguardia e attento analista politico, l’ha definita “una giovane pasionaria con un curriculum pulito e senza eccessive ambiguità al di sotto della retorica rivoluzionaria”. Rodríguez ha fatto bene il suo lavoro: nella “sua” Cadice Podemos è stato il primo partito con il 28,8% dei voti e venerdì scorso ha riunito 14 mila persone nel Velodromo Dos Hermanas di Siviglia. È stato l’atto con maggiore partecipazione di pubblico di tutta la campagna elettorale.

L’Andalusia, in ogni caso, va chiaramente a sinistra: Podemos e IU sommano 863 mila voti (quasi il 22%) e con il PSOE si arriva al 57%. Che questo risultato faccia cambiare idea ai settori di IU critici con l’alleanza con Podemos nelle prossime municipali e regionali? Lo ha detto chiaro e tondo anche il “vecchio” Julio Anguita la settimana scorsa. Anguita, ex sindaco di Cordoba e ex coordinatore federale di IU, persona apprezzata e ascoltata, ottenne il migliore risultato di sempre di Izquierda Unida nella seconda metà degli anni Novanta. Aviso a navegantes, come si dice in Spagna, che assume ancora maggiore importanza dopo i risultati di domenica.

Una nota di colore: nel piccolo comune di Marinaleda (2.700 abitanti), in provincia di Siviglia, governato da sempre da Juan Manuel Sánchez Gordillo, leader del Sindicato Andaluz de Trabajadores (SAT), ha vinto ancora una volta IU – con cui Gordillo è stato eletto deputatato al parlamento regionale anche nell’ultima legislatura – con il 43%, ma con il 24% in meno dei voti rispetto al 2012. Podemos ha ottenuto il 29%. È solo un caso che la CUT (Candidatura Unitaria de Trabajadores/as), che è il “braccio” politico del SAT, dopo 27 anni anni di alleanza con IU, ha deciso di allearsi con Podemos? Tra i 15 eletti di Podemos si trova infatti María del Carmen García della CUT.

Le elezioni andaluse non offrono tutte le risposte ai molti quesiti posti negli ultimi mesi. Dimostrano però che, con difficoltà, resistenze e piccoli imprevisti, si va in una certa direzione: la profonda crisi del bipartitismo e l’irruzione di due nuove forze che potrebbero trasformare quello spagnolo in un sistema quadripartitico con certe similarità con la prima Repubblica italiana. I prossimi mesi saranno chiave per tutti gli attori politici in gioco. Anche per Podemos che questa settimana elegge in primarie aperte alcuni dei candidati alle elezioni comunali; anche in realtà chiave come Madrid, dove la probabile vincitrice di Ahora Madrid (il partito nato dalla confluenza di Podemos, Ganemos, Equo e il settore critico di IU capitanato da Mauricio Valiente) è la ex magistrata Manuela Carmena, che si batterà con il socialista Ángel Gabilondo, filosofo e ex ministro dell’Educazione nell’ultimo governo Zapatero, e la rediviva e agguerrita Esperanza Aguirre per un PP che governa il comune e la regione da due decenni. Il 24 maggio, molto probabilmente, si farà molta più chiarezza e capiremo quale sarà il futuro politico della Spagna.

* (ricercatore presso l’Istituto de Història Contemporanea – Universidade Nova de Lisboa) @StevenForti

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*