"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Città e territori, un necessario spazio di riflessione comune

Trento nord vista dal fotografo Gabriele Basilico

giovedì, 23 aprile 2015

Come anticipato durante il primo appuntamento #180minuti, tenutosi a Sanbapolis nel mese di marzo, l'Associazione "territoriali#europei" organizza un nuovo incontro di approfondimento e riflessione, questa volta scegliendo un focus specifico e provando ad interrogarsi sulle città e sulle relazione che le legano ai territori circostanti.

L'incontro "Città e territori, un necessario spazio comune di riflessione" si svolgerà giovedì 23 aprile 2015, dalle 20.00 alle 23.00, presso il Circolo Alpini, di Vicolo Benassuti 1 a Trento.

Sarà un'occasione di confronto nel bel mezzo di una campagna elettorale che speriamo di aiutare e stimolare con l'incontro che proponiamo. Un momento di conversazione che parte da una traccia di ragionamento che potete trovare qui di seguto e che ci auguriamo sia utile a meglio comprendere il taglio che vorremmo avesse l'appuntamento.

 

Città e territori, un necessario spazio comune di riflessione

Tempo di elezioni amministrative e di conseguenza tempo di proposte di aspiranti sindaci, assessori o semplici consiglieri. Governare lo spazio pubblico - che si tratti di una metropoli o di un piccolo paesino di montagna - è espressione basilare e fondamentale dell'agire politico, laddove rappresenta il contesto di maggiore prossimità e contatto tra rappresentanti e rappresentati. La figura del Sindaco, al netto di trasposizioni caricaturali sul piano nazionale, è quella più "alla portata" del cittadino che – spesso indignato, a volte onestamente interessato al bene comune – cerca i responsabili del malfunzionamento (vero o presunto, poco cambia) della macchina amministrativa. La crisi della politica – morale da un lato, di funzione dall'altro – non ha risparmiato neppure i corpi intermedi fino a poco tempo prima ritenuti i punti più saldi di un'architettura istituzionale già traballante. Poi c'è stata Tangentopoli e quel 1992 che in queste settimane viene narrato in un'efficace e cruda serie tv ambientata nella Milano di una ventina d'anni fa. Inchieste, arresti, affari per nulla trasparenti, bilanci dissestati, giunte sciolte e commissari straordinari. Questo lo sfondo dentro il quale si sarebbe dovuta dispiegare l'ordinaria amministrazione (non sempre garantita) e si sarebbe dovuto agire per la scrittura di uno spartito utile al futuro, spesso risultato stonato o peggio inesistente. E' quello il periodo in cui è venuto meno – fino ad oggi senza una soluzione – il patto di fiducia che lega il politico, e la sua azione, ai cittadini. La deresponsabilizzazione generale e la fuga di fronte all'impegno per la buona amministrazione creano terreno fertile per la corruzione – materiale e intellettuale – che sta alla base dello sgretolamento delle comunità. (1)

Il dibattito sulle città e sul loro futuro, fuori dalla cronaca giudiziaria, vive oggi di una rinnovata – meritata – attenzione, di un pericoloso equivoco e di una evidente contraddizione. Proviamo a spiegarci.

L'equivoco sta nella contrapposizione tra città (intesa come spazio urbano) e territori, cioè tutto quello che ne sta all'esterno. La sfida tra "zitadini e valligiani", seppur con caratteristiche diverse rispetto al passato, è ancora viva. Partendo da un'ipotesi - quasi antropologica - di separatezza si tende spesso a non prendere in considerazione i necessari punti di contatto tra i due mondi e a descriverli come impermeabili tra loro. Un errore imperdonabile, oltre che una mancanza di comprensione del contesto nel quale si agisce. Può una città fare a meno di prendere in considerazione, ragionando del proprio futuro, lo spazio che la circonda? Possiamo – all'interno di un mondo sempre più interdipendente – non ragionare sulle connessioni virtuose tra i nostri locali, forse più comprensibili e conosciuti, centro e periferia?
Il Trentino è – per caratteristiche morfologiche, culturali e politiche – in una condizione particolare, motivo che ne determina la “specialità” oggi messa da molti in dubbio. Pochi centri urbani (di cui uno solo di dimensioni davvero rilevanti) e presenza dislocata di medio-piccoli contesti abitati nelle zone montane o pre-montane fanno sì che sia ineludibile una discussione attenta attorno all'assetto istituzionale da scegliere. Da sempre infatti l'infrastrutturazione della governance per la nostra Provincia ha significato interrogarsi sulla forma migliore da utilizzare per un efficace autogoverno del territorio. Un obiettivo ben più ambizioso della semplice – in ogni caso obbligatoria – ridislocazione delle funzioni e del potere decisionale. Un driver di sistema funzionale a diversi scopi. Determinare un migliore e più efficace equilibrio tra Provincia e altre dimensioni istituzionali, per un'Autonomia matura e sempre più vicina ad una dimensione di integralità. Migliorare la dialettica tra contesti urbani e valli, per la valorizzazione delle potenzialità innovative delle città (Trento e Rovereto in particolare) e l'emersione delle vocazioni di ogni singolo territorio. Definire un nuovo scenario di responsabilità e opportunità diffusa laddove - citando provocatoriamente l'idea di Tzimtzum – l'onnipresente PAT (la divinità cui fa riferimento la filosofia ebraica) si ritrae, lasciando spazio agli altri attori politici, sociali e economici presenti sul territorio. Favorire la creazione e la crescita vitale di spazi dell'azione politica che sappiano essere attrattivi e utili per ogni cittadino, in una visione estensiva e generativa dei concetti di partecipazione, cittadinanza e democrazia.
Messa definitivamente da parte la Riforma della Provincia, approvata nella precedente legislatura e frettolosamente cancellata in quella in corso sulla spinta di un pericolosa omologazione al dibattito politico nazionale che procede parallelamente alla cancellazione delle Province, e nel bel mezzo di una corsa forsennata alla fusione tra Comuni, non viene meno l'urgenza di una riflessione complessiva sulla governance provinciale, con particolare attenzione per le relazioni tra centro e periferia. Una riflessione che sappia concentrarsi sul fine (per semplificare “l'autogoverno del Bene Comune”, nonostante l'abuso di questa formula ormai diventata passepartout) scegliendo gli strumenti migliori per raggiungerlo, con rinnovata fantasia e curiosità.

La contraddizione è invece collegata ad una “moda” del tempo che stiamo vivendo. Parliamo delle classifiche (croce e delizia di ogni Sindaco) che mettono in competizione tra loro le città, producendo un clima schizofrenico di fibrillazione e polemica. Un giorno sei tra i più "verdi", il giorno dopo sei tra i più smart del mondo (2), quello dopo ancora non fai abbastanza per la coesione sociale (3)(4). Una gran confusione di dati e di interpretazioni che non aiuta a confrontarsi seriamente con le mille questioni che la città pone quotidianamente, ma anzi ci invita a leggere tutto in forma terribilmente schematica e priva di sfumature. Se stai nella parte alta della graduatoria puoi vantarti del risultato, se stai sul fondo cerchi di minimizzare. Uscire dalla continua ansia da prestazione aiuterebbe a riaffacciarsi con il giusto piglio all'impegno costante che ogni amministrazione e ogni comunità sono chiamate a sviluppare con rinnovata sinergia, oggi più che mai. Sentiamo la necessità di porci – e porre – una serie di domande che ci aiutino a comprendere meglio quale sia oggi la cornice dentro cui le città si muovono. Se un tempo erano il lavoro e la produzione a determinare la forma dello spazio urbano (nel bene e nel male) oggi sembrano essere il consumo, l'economia e la finanza a definire le scelte delle amministrazioni. Possiamo permetterci che sia ancora così? Le due città principali del nostro territorio decideranno di cambiare rotta – nei loro centri storici così come nelle zone artigianali e commerciali – accettando di prendersi cura del paesaggio piuttosto che monetizzarne il valore? Saremo in grado di assumere la sfida di un nuovo paradigma (per l'edilizia, per la mobilità, per il commercio, per l'ambiente, per gli stili di vita) che chiede un'analisi precisa dei propri limiti e una conoscenza altrettanto puntuale delle potenzialità che già si detengono. Se i Prg per anni hanno fotografato fedelmente una realtà viziata dal riconoscimento senza sosta del “diritto a costruire” - con tutte le conseguenze che questo ha prodotto - oggi dobbiamo coltivare l'ambizione di immaginare una visione articolata di città e la voglia di condividerne la fasi di realizzazione con tutti i cittadini che la vivono.
Utile risulta quindi la lettura di un breve saggio appena pubblicato da Franco La Cecla dal titolo provocatorio "Contro l'urbanistica" (5). Non solo un atto d'accusa al ruolo dei progettisti e dei pianificatori urbani, ma una più generale analisi di un modo “altro” di guardare all'evoluzione delle città. Predominanza della dimensione sociale rispetto a quella economica, ricerca dell'uguaglianza e non esclusivamente del profitto, valorizzazione delle unicità per contrastare l'omologazione, rifiuto della semplificazione in nome di un rinnovato bisogno di complessità. Un invito a riscoprire la città per come la descrive Lewis Mumford: "Un esperimento umano del convivere tra mercato, artigianato e arte, in una dialettica di prossimità e passaggi, lungo percorsi, spazi, in una relazione continua tra persone e oggetti costruiti: muri, facciate, dislivelli, altezze, ponti e passerelle."

La rinnovata attenzione - per concludere - è reale, energica e multidisciplinare, motivata anche e soprattutto da un mutato contesto economico che impone la ricerca di un nuovo equilibrio (6).
Non si deve commettere l'errore di pensare che prima di questa fase non ci siano stati altri contesti di dibattito altrettanto ricchi, fasi di emersione e sedimentazione di approcci innovativi al vivere urbano. Dobbiamo ovviamente tenerne conto, capendo quanto hanno influito sulla situazione attuale. Non va dimenticato inoltre che l'ambito urbano è continuamente attraversato da diverse spinte che ne determinano una trasformazione parziale e costante. Sono le esperienze (buone o cattive che siano, non è questo il momento per un nostro giudizio) dei cittadini che le abitano a condurla in una direzione piuttosto che in un'altra. Se chi vive in un quartiere – un po' come sta succedendo con il prezioso esperimento delle Social Street – decide di riaffermare l'utilizzo dello spazio pubblico sarà probabile che quel luogo sarà riconosciuto come più accogliente. Al contrario se una zona della città vivrà una fase di spopolamento (abitativo o commerciale che sia) non dovrà stupire il verificarsi di forme di occupazione diverse e magari meno compatibili e potenzialmente conflittuali. Sono due esempi banali, come se ne potrebbero fare decine collegati alla scomposizione e ricomposizione che i contesti urbani subiscono senza soluzione di continuità. La città (e allo stesso modo ogni territorio abitato) pulsa dei sentimenti, delle aspettative, delle vocazioni e delle problematiche del corpo sociale che la compone. I singoli cittadini, le realtà associative che essi animano, le classi dirigenti che li rappresentano, i luoghi di lavoro o di aggregazione. Un magma in ebollizione. Ci stanno dentro – insieme – rinnovate spinte mutualistiche, vocate alla condivisione e una crescente richiesta di sicurezza e militarizzazione (7), laboratori cittadini di innovazione tecnologica e sociale e esperienze di recupero delle tradizioni contadine, progetti di riuso creativo del patrimonio immobiliare abbandonato promosse dalle amministrazioni stesse e nuove esperienze di occupazione e autogestione "dal basso", fenomeni di spopolamento e nuovi flussi migratori in ingresso.
Si incontrano (e scontrano) modi diversi di intendere lo stare nello spazio pubblico, per motivi anagrafici, culturali o esclusivamente d'interesse. Cercare di anestetizzare queste diversità – in nome di una fantomatica città normale, tranquilla, omogenea e senza increspature – è approccio sbagliato oltre che limitante e pericoloso.

Come si può capire lo scenario che ci si propone richiede strumenti (teorici e pratici) adeguati. Le tecnologie – altro tema all'ordine del giorno – ci vengono in aiuto ma da sole non sono sufficienti per tracciare la via da seguire. Come abbiamo già ampiamente detto in precedenza siamo di fronte ad un tempo che vive sulla capacità di stare all'interno di processi che incrociano l'ambito locale con quello sovranazionale. E' un dato che faremo bene a tenere sempre presente.


(1) Responsabilità. Un problema all'origine di ogni forma di corruzione. - di Donatella Di Cesare, La Lettura 5 aprile 2015.
(2) Ieee Smart Cities Initiative - Comune di Trento, 27 agosto 2014 (http://www.comune.trento.it/Citta/Vivi-la-citta/Innovazione-e-Smart-City/Riconoscimenti/IEEE-Smart-Cities-Initiative)
(3) La precarietà sociale nelle città italiane. - Fondazione Leone Moressa 30 marzo 2015 (http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/la-precarieta-sociale-nelle-citta-italiane/)
(4) Integrazione dei migranti. Trento virtuosa. - Ufficio Stampa Pat 31 marzo 2015 (http://www.uffstampa.provincia.tn.it/Csw/C_Stampa.Nsf/0/16A15E3438111804C1257E19005E0B16?OpenDocument)
(5) Contro l'urbanistica. - La Cecla, Einaudi 2015
(6) Stato di Crisi - Bauman e Bordoni, Einaudi 2015
(7) Lo spazio inquieto. La città e la paura. - Foloni, Edizioni di passaggio 2014

 

Trento, Vicolo Benassuti 1 (sede degli Alpini)

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*