"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Parliamo di noi, di quel che siamo

Il Mediterraneo nel tempo del Sabir

E' il tema dell'attraversamento il centro dell'intervento di Michele Nardelli in occasione della presentazione, venerdì scorso, a Trieste della rete di Terra Madre Balcani e dei viaggi del turismo responsabile nell'Europa di mezzo. Parole che invocano un cambio di pensiero, anche di fronte alle ormai quotidiane tragedie del mare.

di Michele Nardelli

Di che cosa stiamo parlando? Parliamo di Europa, anzi del cuore dell'Europa. E dunque di noi.

C'è un passaggio particolare che mi ha colpito nell'ultimo libro di Paolo Rumiz “Come cavalli che dormono in piedi”. Scrive Rumiz: «...Vado in treno, naturalmente, perché il viaggio è sogno, e io covo una nostalgia insana del vecchio Orient Express e del train de nuit Lubiana-Mosca dal samovar fumante in fondo al corridoio. Parto per maledire lo squallore dell'oggi, perché persino durante la Guerra fredda andare ad est era più facile e la rete di ferro tagliava fiumi foreste e montagne meglio che in questi tempi ipocriti in cui, nonostante i proclami, c'è meno Europa di cento anni fa».

Sì, meno Europa di cent'anni fa. Perché nonostante le istituzioni, le regole, la velocità nelle comunicazioni, nella cultura (o semplicemente nel sentire) delle persone siamo ancora immersi nel delirio degli stati nazione.

Vi leggo un legame, quello fra il “secolo degli assassini”1 e il paradigma degli stati nazione. La fine dei vecchi imperi che avevano dominato il tempo precedente, generalmente salutata dalla cultura progressista come un tratto emancipativo e liberatorio, si è rivelata per certi versi l'opposto. Nel senso che molto di quel che c'era di sovranazionale è stato messo da parte, talvolta cancellato, proprio nella delirante ascesa del nazionalismo che ancora oggi, nonostante l'evidenza globale, produce i suoi frutti avvelenati.

Non ho alcuna nostalgia degli imperi ottocenteschi, ma non v'è dubbio che nella loro dimensione sovranazionale erano oggettivamente aperti ad una contaminazione culturale e a mescolanze di saperi tutt'altro che banali. Penso a questa città e al suo declino novecentesco, penso alla mia città, Trento, che all'inizio del Novecento aveva una moschea in legno destinata alla preghiera dei soldati di fede islamica in quell'impero asburgico nel quale convivevano – riconosciute ufficialmente – undici lingue e cinque religioni.

Di questa koiné sovranazionale che precedette il secolo del delirio nazionalista vi voglio portare due esempi dei quali si è persa la memoria.

Il Sabir

Il primo si chiama “lisān al faranğī (o volgarmente definito come sabir). Per almeno seicento anni questa è stata la lingua franca usata nei porti del Mediterraneo per la comunicazione commerciale. Un idioma a base veneziano, genovese, spagnolo, arabo ma anche catalano, turco, siciliano... di origini antiche (il primo documento in lingua franca risale al 1296 e si tratta del più antico portolano2 relativo alla totalità del Mediterraneo, intitolato Compasso da Navegare). Un esempio del quale viene riportato nel Borghese gentiluomo di Moliere

«Se ti sabir
ti respondir,
se non sabir
tazir, tazir».

Nella scomparsa novecentesca di questo antico idioma che cosa misuriamo, il progresso o il regresso? Mi viene in mente il monito di Giacomo Leopardi ne la Ginestra: «Del ritornar ti vanti e procedere il chiami».

In questo tempo, dove servirebbero più che mai pensieri e politiche dell'attraversamento, assistiamo invece ai continui richiami dello “scontro di civiltà”. Eppure noi siamo l'esito dell'attraversamento, lo sono le nostre identità (che se non sono in divenire sono semplicemente morte), prodotto della contaminazione, anche del conflitto, certo, ma generativo. Pensiamo alla straordinaria portata che ebbe il Califfato di al-Andalus nel portare in Europa il frutto di quel “Movimento delle traduzioni” che nacque a Damasco nel VI secolo, che si sviluppò successivamente a Baghdad per poi giungere attraverso quel che rimaneva della dinastia degli Omayyadi fino in Spagna3. Arrivarono a noi il pensiero filosofico di Aristotele e di Platone, la matematica, l'algebra, l'alchimia (ovvero la base della medicina moderna ma anche della scienza dei materiali), l'astronomia, la poesia e la canzone d'amore...

Il censimento del 1910 a Sarajevo

Il secondo esempio che vi voglio portare in questo mio breve intervento ha a che vedere anche con questa città, Trieste. Si tratta dell'ultimo censimento dell'impero asburgico. Nel dicembre 1910 a Trento, come a Trieste, Vienna, Praga, Pressburg (Bratislava), Kronstadt (l'odierna Brasov), Leopoli, Lubiana, Zagabria e Sarajevo venne realizzato il censimento sulla base della lingua parlata in casa e in strada. L'esito di quel censimento nella città di Sarajevo ci racconta molto bene di come si è costruita l'Europa, dell'attraversamento appunto.

Dal censimento della capitale bosniaca dei primi anni del Novecento emerge un dato incredibile e insieme affascinante: il 13,4 per cento della popolazione sarajevese dichiara di avere come lingua madre lo spagnolo. E' l'antico ladino della comunità sefardita (Sefarad era il nome che gli ebrei davano alla Spagna). Cacciati nel 1492, la loro diaspora giunse ad Alessandria d'Egitto, a Costantinopoli e a Sarajevo. Nel Novecento, la città (a larga maggioranza mussulmana) difese le antiche scritture dei sefarditi dall'occupazione nazista ma ben poco poté contro l'assedio degli anni '90, quando andarono in fumo l'Istituto Orientale e la Biblioteca nazionale in quella prima guerra moderna dove (criminali e nazionalisti) proprio questa storia si voleva cancellare. Ad essere sotto assedio non era solo la gente di quella città, era anche la nostra storia e noi non ce ne siamo nemmeno accorti, volgendo il nostro sguardo altrove.

 

Stiamo parlando di noi, dunque, di questa Europa che non conosciamo e che abbiamo rimosso. Qui oggi parliamo di culture materiali, di saperi e sapori antichi. Ma il viaggio in questa parte d'Europa ha il valore di scoprire una parte di noi, delle nostre radici, di quel che siamo.

 

1«Il secolo che abbiamo alle spalle è stato, dal punto di vista quantitativo, di gran lunga il più distruttivo dell'intera storia universale. In esso, ci dicono le statistiche, il numero dei morti a causa delle sue guerre devastanti è stato più del triplo di quello complessivo delle vittime di tutti i conflitti combattuti nei precedenti diciannove secoli che ci separano dall'inizio dell'era cristiana». Marco Revelli, Oltre il Novecento. Einaudi, 2001

2Una sorta di manuale per la navigazione portuale o costiera.

3Maria Rosa Menocal, Principi, poeti e visir. Il Saggiatore, 2002

 

 

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