"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Il bipartitismo è davvero in crisi?
È pur vero che i sondaggi sono sempre da prendere con le pinze, ma offrono comunque una fotografia, per quanto limitata e parziale, di determinati processi in corso nell’elettorato. Tra l’altro è da tenere presente che nelle elezioni andaluse di marzo i sondaggi sono stati quanto mai affidabili. Detto questo, è indubbio, innanzitutto, che c’è un’altissima volatilità del voto – prova ne sono i diversi risultati di Podemos e Ciudadanos tra gennaio e aprile – e, in secondo luogo, che il bipartitismo PP-PSOE che ha governato la Spagna negli ultimi trent’anni è in crisi. Il punto chiave è capire quanto grave sia questa crisi. In Andalusia a marzo ne abbiamo avuto un assaggio: la realtà andalusa è del tutto particolare nel panorama spagnolo e la scelta di convocare elezioni anticipate è stata una mossa intelligente della dirigente socialista Susana Díaz, che ha mantenuto i 47 seggi conquistati nel 2012. Ciò non toglie che i due grandi partiti abbiano perso molti consensi, soprattutto i popolari (500 mila voti in meno), e che Podemos e Ciudadanos siano entrati con una certa forza nel parlamento regionale, rispettivamente con il 14,8% e il 9,3% dei voti, obbligando i socialisti a cercare un appoggio esterno per poter formare il governo. Un punto ancora da chiarire, quasi due mesi dopo le elezioni. Le trattative a Siviglia sono ancora aperte e sembra che nessuno voglia “cedere”, dando l’appoggio a Díaz prima delle amministrative, anche se alcune divergenze si sono appianate. Díaz ha infatti accettato una delle conditio sine qua non di Podemos e Ciudadanos per avere un appoggio esterno o almeno un’astensione nella sessione di investitura che permetterebbe la formazione del nuovo governo: l’abbandono definitivo della politica dei due ex governatori andalusi, i socialisti Manuel Chaves e José Antonio Griñan, imputati per lo scandalo degli ERE.
Pare dunque che, come è confermato anche dai sondaggi nelle diverse realtà regionali e comunali al voto il 24 maggio, si passerà da un bipartitismo imperfetto a un sistema quatripartitico – anche se con una differenza rilevante in alcuni casi in quanto a voti e seggi tra PP-PSOE e Podemos-Ciudadanos – e che sarà necessario trovare accordi post-elettorali tra le diverse forze in quanto la maggioranza assoluta di un solo partito è cosa del passato. Sarà un passaggio di non poco conto nella politica spagnola vista l’assenza di una cultura di patti e accordi, tranne in qualche caso, come la Catalogna del decennio scorso con l’esperienza del Tripartito.
In ogni caso, per poter avere dei dati più affidabili al riguardo bisognerà attendere il 24 maggio. Forse ciò che peserà di più non saranno tanto i risultati in sé, ma l’interpretazione degli stessi che si imporrà nei giorni successivi al voto. Anche perché in elezioni di questo tipo – comunali e regionali – ogni realtà è un mondo a sé con dinamiche assolutamente particolari e con enormi differenze da un contesto all’altro. La lettura “vincente” segnerà, questo sì, i mesi futuri con altri due importanti appuntamenti elettorali alle porte: le regionali catalane e le politiche generali, che si dovrebbero tenere, rispettivamente, il 27 settembre e a novembre. Nel primo caso, sarà chiave capire, questo 24 maggio, il peso dell’indipendentismo e se si formeranno nei prossimi mesi una o più liste indipendentiste catalane sostenute dalle associazioni non partitiche del vasto mondo soberanista; nel secondo caso, invece, la tenuta del bipartitismo e delle quarantennali reti clientelari dei due grandi partiti. Terranno come in Andalusia oppure i continui scandali legati alla corruzione – che hanno colpito duramente il PP con il caso Bárcenas, il caso Gürtel, l’imputazione di Federico Trillo e Ángel Acebes e l’arresto di Rodrigo Rato, esponenti di punta dell’aznarismo – le metteranno in crisi? In realtà importanti come Madrid e Valencia, governate dal PP da due decenni, pare che siano effettivamente in una crisi irreversibile, con il partito di Rajoy in caduta libera nei sondaggi: perderebbe oltre il 20% in entrambe le regioni e anche nei rispettivi capoluoghi, lasciando aperte le porte a possibili – per quanto difficili – maggioranze di sinistra.
Podemos anestetizzato da Ciudadanos?
La crescita esponenziale di consensi di Podemos dopo le elezioni europee del maggio scorso pare essersi fermata a marzo. In Andalusia il partito guidato da Pablo Iglesias non ha ottenuto i risultati sperati, per quanto è doveroso ricordare che quella andalusa era la prova più difficile per Podemos, con delle elezioni anticipate in una regione governata da sempre dal PSOE e dove il nuovo partito non aveva avuto ancora il tempo di strutturarsi. Il fattore novità rappresentato da Podemos è stato in parte relativizzato da Ciudadanos, che per quanto difenda politiche neoliberiste di destra, si presenta come una formazione anti-casta che fa della lotta alla corruzione uno dei suoi punti di forza. Il che conta parecchio in un paese che sta vivendo una specie di Tangentopoli e in cui il 95% della popolazione crede che la corruzione sia un problema molto esteso. Il programma economico del partito di Albert Rivera, preparato da Manuel Conthe e Luis Garicano, non è nulla più che “paleoliberismo”, como lo ha definito giustamente Antón Losada, ma si vende come centrista e finanche socialdemocratico, ottenendo l’approvazione di vasti settori dell’establishment spagnolo e di alcuni settori progressisti dell’opinione pubblica, tra cui El País, che probabilmente sta sondando la possibilità di convertire Ciudadanos nell’alleato che permetterebbe al PSOE di tornare al governo e di bloccare sul nascere il “rischio” Podemos.
Il partito di Iglesias, attaccato continuamente sulla stampa, ha vissuto il mese scorso una defezione importante. A fine aprile Juan Carlos Monedero, numero tre del partito e fondatore di Podemos insieme a Iglesias, ha lasciato la dirigenza, criticando la strategia politica del partito. Da inizio febbraio Monedero era stato messo in secondo piano per lo scandalo che lo aveva riguardato. L’ormai ex numero tre di Podemos aveva incassato nel 2013 425 mila euro per delle consulenze in Venezuela e altri paesi dell’America Latina: in un primo momento ne aveva dichiarati solo una parte, poi ha concordato il versamento di 200 mila euro all’Agenzia delle entrate per evitare di essere sanzionato. Non pare che in questo abbandono ci siano delle ragioni personali, visto che il partito lo ha sempre difeso e visto che Monedero ha affermato di continuare come militante. Iglesias ha confermato che Monedero, ormai “libero dai condizionamenti dell’organizzazione”, deve continuare ad essere “la referenza morale e intellettuale di chi aspira a una società più giusta”. Sembra piuttosto che abbiano pesato, oltre alla personalità di Monedero, le divergenze di vedute con il numero due Íñigo Errejón favorevole ad una strategia politica di conquista del centro dell’elettorato.
Non a caso Monedero è stato il responsabile della redazione del programma del partito, presentato subito dopo il suo abbandono, in cui le proposte più radicali di Podemos, presenti nel programma delle europee del 2014, vengono ridimensionate. La cancellazione del debito e il reddito di cittadinanza sono sostituiti con proposte più moderate, in linea con un programma socialdemocratico vero e proprio: da una serie di misure concrete per mantenere il Welfare state a una legge di trasparenza per evitare la corruzione nei partiti, da delle misure per estirpare il grave problema della casa e degli sfratti per mutui ipotecari alla garanzia del mantenimento di luce e gas per le famiglie che non possono pagare le bollete, in modo simile a quanto annunciato dal governo di Syriza in Grecia.
Più voci parlano di tensioni all’interno di Podemos tra i circoli e la dirigenza, ossia tra chi difende una gestione più assembleare e chi, come Errejón e Carolina Bescansa, optano per una gestione più verticalista e attenta soprattutto alle dinamiche elettorali con l’obiettivo di vincere le prossime elezioni. Da una parte è indubbio che esistano tali tensioni, che sono espressione di un sano dibattito democratico all’interno di un’organizzazione partitica e che erano già presenti nell’Asamblea Ciudadana dell’autunno che diede un’ampia maggioranza al settore di Iglesias. Dall’altra parte queste divergenze sono pompate ad arte dai mass media per indebolire Podemos. Se è vero che Monedero – che faceva parte della candidatura di Iglesias – ha criticato la perdita di potere dei circoli, è altrettanto vero che i due massimi esponenti della candidatura alternativa a Iglesias nell’assemblea di Podemos, Pablo Echenique, candidato di Podemos in Aragona, e la stessa Teresa Rodríguez, leader del partito in Andalusia, hanno appoggiato il segretario generale. Non ha dunque senso parlare di una rottura tra due anime di Podemos che per il momento rimangono ben unite e che, per di più, non sono così ben differenziate come si vuol far credere.
In ogni caso, i risultati del 24 maggio saranno la prova del nove per il partito guidato da Iglesias, che ha raccolto oltre un milione di euro attraverso il crowdfunding, evitando, come stabilito dagli statuti, i prestiti delle entità bancarie. Il 24 maggio comunque Podemos si presenterà con il proprio nome solo alle regionali, dove ha buone possibilità soprattutto in Aragona, nelle Asturie, a Madrid e in Navarra, regioni in cui i sondaggi lo danno come secondo o terzo partito, convertendosi dunque nell’ago della bilancia per la formazione dei governi regionali. Come deciso da tempo, non si presenterà invece con la propria sigla alle comunali, ma parteciperà solo in alcuni casi in altre candidature frutto di progetti nati dal basso in cui sono confluiti diversi partiti di sinistra o in confluenze di partiti già esistenti. Le differenze tra un progetto e l’altro sono enormi, così come le loro possibilità di ottenere la vittoria o un’affermazione non secondaria. Spiccano Barcelona en Comú, progetto nato da Guanyem Barcelona e nel quale si sono integrati Podemos, gli ecosocialisti catalani e altre formazioni minori, e Ahora Madrid, nato da Ganemos Madrid e appoggiato da Podemos, Equo e il settore critico di IU della capitale, oltre che Zaragoza en Común, València en Comú e la Marea Atlántica di La Coruña.
Ada Colau, ex portavoce della Plataforma de Afectados per la Hipoteca (PAH), si disputa per Barcelona en Comú il comune del capoluogo catalano con il sindaco uscente Xavier Trías di Convergència i Unió, la federazione conservatrice catalanista del governatore della Catalogna Artur Mas, mentre a Madrid è l’ex magistrata comunista Manuela Carmena che lotta per Ahora Madrid per togliere il comune della capitale alla rediviva Esperanza Aguirre, presidentessa del PP di Madrid dal 2004 e governatrice della regione dal 2003 al 2012, esponente dell’ala dura del partito di Rajoy. Il 24 maggio segnerà senza ombra di dubbio uno spartiacque importante e permetterà di fare un po’ di chiarezza nel panorama politico spagnolo in vista delle elezioni dell’autunno.
* ricercatore presso l’Istituto de Història Contemporanea, Universidade Nova de Lisboa
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