"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Tulime incontra Michele Nardelli

Un\'immagine dell\'incontro di sabato scorso

Sabato scorso sono stato a Palermo, invitato dagli amici di Tulime, ong che opera in diverse aree del mondo e che ho conosciuto qualche anno fa nel contesto della presentazione del libro "Darsi il tempo" a Parma. Un caldo pomeriggio estivo, un pubblico di giovani e meno giovani, il desiderio di porsi domande alte, il mio andare a ruota libera nella riflessione su questo tempo che non sa fare tesoro del passato, la necessità di cercare risposte non scontate. Giulia Raciti, una delle giovani partecipanti, ne ha scritto questo resoconto per fissare nella memoria le parole chiave della nostra conversazione. E che ringrazio di cuore.

di Giulia Raciti

 

"In questo progresso scorsoio

non so se vengo ingoiato o se ingoio" (Andrea Zanzotto)

 

E' questa la frase che meglio penso possa sintetizzare l'incontro che i soci e gli amici di Tulime hanno avuto con Michele Nardelli. Il 6 giugno, presso i locali dell'Associazione Next, coloro che più sono vicini all'associazione e al suo impegno si sono riuniti, in un afoso sabato pomeriggio palermitano, per dare il benvenuto a Michele. Alcuni di noi lo conoscevano già, altri, come me, lo avevano soltato sentire nominare, associato a quel "Darsi il Tempo" che tanto ha ispirato e ispira l'azione di Tulime e il suo "modo" di fare, di concepire, di pensare la cooperazione.

E' proprio a partire da un lontano incontro nella città di Parma che la Cooperazione di Comunità diventa allo stesso tempo principio e mission di Tulime, un pensiero al quale l'associazione non dimentica mai di volgere lo sguardo durante l'organizzazione della sua vita associativa, nel suo modo di pianificare, di coordinare e di valutare gli interventi sia nel territorio che nei paesi del Sud del mondo, nel coltivare con pazienza i semi di una cooperazione che segue un modello nuovo, vicino alle comunità con le quali si entra in relazione. 

L'idea della cooperazione passa sempre da quella fatidica domanda: "Cosa si intende per Sviluppo?". Molti libri trattano l'argomento, molte associazioni cercano il modo di interpretarlo, indicatori e statistiche si sfidano a trovare il modo migliore di misurarlo. Lo sviluppo, comunque, può esser associato solo ed esclusivamente al concetto del "progredire"?

E' proprio il "progresso" una delle parole-chiave dell'incontro con Michele Nardelli. L'incontro sembra proprio voler cercare di spingere una riflessione intorno alla precedente domanda: indagare il passato, e non tanto un futuro che non possiamo conoscere, può essere la chiave di lettura di questo progresso. Un gioco di parole, forse un gioco "tra i tempi".

Michele ci spinge a considerare l'importanza di indagare sulle nostre radici e a cominciare a vivere la storia come una possibilità di interpretazione del presente e, come dice Hannah Arendt, di "esser presenti al proprio tempo". Cosa è che ci ha spinti a restare ancorati agli schemi interpretativi del '900, tanto da non ruscire nemmeno ad interrogarci sui paradigmi, dando invece per scontato che essi siano restati immutati?

"Si tratta di quel vuoto che esiste tra il non più e il non ancora: molti paradigmi son già saltati, ma noi continuiamo ad utilizzare lo sguardo di prima. [...] Così, ci vantiamo di questo "tornare indietro" e lo chiamiamo progresso", afferma Michele Nardelli.

Michele ci offre spunti di riflessione, pensieri di scrittori e filosofi: c'è anche un'immagine che diviene uno dei punti focali di questo pomeriggio di confronto sullo scontro: l'Angelus Novus. Per parlarcene il nostro ospite ci legge il pensiero di Benjamin, che bene descrive il capolavoro del pittore Paul Klee.

"C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta." (Tesi di filosofia della storia)

"E' della condizione dell'uomo del '900" che si parla, ci dice Michele, "condizione esistenziale considerabile ancora del tutto valida. [...] E' la condizione dell'essere umano che si confronta con il tempo degli assassini", per dirla con Rimbaud, è la sintesi dell'incapacità di interpretare il passato e di cambiare il nostro sguardo sul presente".

E' un'immagine che, di certo, provoca paura. Ed è proprio la paura un'altra chiave di lettura interessante: abbiamo paura del futuro. Come non capire questo timore davanti al caos che ci si presenta ogni giorno?

Quale alternativa, allora, possiamo trovare alla guerra, a questo delirio senza fine? Michele Nardelli ci fa riflettere, così, al bisogno sempre più imminente che dobbiamo poter sentire verso un cambiamento radicale ma progressivo dei nostri modelli di sviluppo basati sulle sovranità nazionali. Dare spazio, quindi, a delle idee alternative che possano andare oltre al mito dello scontro di civiltà. E' la riflessione tra la chiara interdipendenza tra luoghi, flussi di idee e persone, eventi, calamià, guerre, mercati, che ci porterà a comprendere come pagine nere della storia, movimenti rivoluzionari, abbiano gettato le basi dell'incontro tra le civiltà, piuttosto che un loro scontro.

Come afferma Michele: "[...] le radici stanno, piuttosto, nell'incontro tra le civiltà. Ma questo, questa storia, è stata rimossa dal nostro immaginario e dal delirio degli Stati Nazionali. [...] Eppure non c'è più nulla di nazionale, dentro un'interdipendenza che non conosce confini. Dal punto di vista industriale, ambientale.. [...]Tutto è ormai proiettato in un'altra dimensione".

E' in questa dimensione che la Cooperazione di Comunità si va a collocare. E' quella dimensione che, come nel caso dello "spazio neutro di negoziazione", ovvero quello spazio di dialogo tra le comuntà che scelgono di cooperare tra loro, si trova giusto tra il "sovranazionale" e il "territoriale", tra quest'interdipendenza globale e la dignità che differenzia ogni territorio, comunità, modo di vivere, ogni spazio con il suo proprio tempo, il suo proprio linguaggio.

"E' come utilizzare uno sguardo tramite l'obiettivo di una macchina fotografica, avendo la possibilità di guardare da lontano per poi zummare nei particolari", dice Francesco Picciotto, Presidente di Tulime. "Sembra il gioco di particolari del linguaggio globale della natura che, a seconda dei vari territori, si declina nei vari dialetti".

"E' così che " replica Michele "potremo indagare su dei temi quali la biodiversità, il far meglio con meno, la valorizzazione delle differenze e del diverso. [...] Cooperazione di Comunità significa avere uno sguardo delle cose nella loro dimensione reale. [...] E' dentro questo tempo che sta la post-modernità. Non possiamo più leggere la Cooperazione come Aiuto allo Sviluppo. L'emergenza stessa è la fine della Cooperazione Internazionale. Nella fretta del fare, abbiamo smesso di alzare lo sguardo e di incrociare quello dell'altro, di interessarci davvero di ciò che ci colpisce delle comunità con le quali cooperiamo, di incontrare loro e di chiedere, anche a loro, della loro storia, del loro passato. [...] Continuiamo a cercare di proteggere il nostro spazio vitale, che consideriamo inviolabile. [...] Viviamo in sottrazione dell'altro e non con l'altro. Bisognerebbe annullare l'idea del diritto naturale, del fatto che c'è qualcuno che ha maggiori diritti rispetto ad altri. Quando i diritti umani smettono di essere globali, si chiamano privilegi."

Michele Nardelli ci ha spinto ad una riflessione profonda che affonda le sue radici nella storia, indaga il presente che il genere umano sta vivendo, aspira a trovare nuove chiavi di lettura per costruire un futuro per tutti, per far sì che ogni territorio ottenga il sacrosanto diritto di godere delle proprie risorse. La lunga riflessione con Michele ci spinge ad oltrepassare la distinzione tra bene e male, buoni e cattivi, distinzione che rischia di sviare una visione neutra e veritiera."Dovremmo, piuttosto", afferma Michele, "indagare sul potenziale criminale che può esistere in ognuno di noi".

Potremo così, indagare non soltanto sulla ricerca della pace ma, piuttosto, sull'elaborazione dei conflitti. E' attraverso l'allenamento di uno sguardo multidimensionale e multidisciplinare sulla realtà che la lettura di questa diviene completa. La conoscenza è conoscenza di memoria, di mente, di sguardo e di cuore. "Siamo circondati da atteggiamenti che in assenza di visione diventano aggressività", afferma Michele, "[...] laddove la memoria non ci aiuta, allora, attiviamo la comunità".

Ringraziamo Michele Nardelli per avere rinnovato il suo contributo all'impegno che Tulime porta avanti da anni. Ringraziamo tutti quelli che hanno partecipato, che hanno contribuito con i loro interventi e le loro riiflessioni. E' stata forse la differenza di età dei partecipanti una delle chiavi di lettura interessanti dell'incontro: uomini e donne che, per la lunghezza del loro vissuto, si collocano in diversi punti di quello spazio tra il "non più" e il "non ancora" ma, di certo, esseri umani che sanno che le caratteristiche di quel "non ancora" dipende dalle nostre azioni e dalle nostre scelte.

 

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